SAI CHI ERA EUGENIO CURIEL?

Maurizio Acerbo

“La Resistenza nel Nord? Per me significa Eugenio Curiel, la persona a cui sono – stato più vicino
dall’autunno del 1943 al febbraio del 1945». Elio Vittorini
Ottanta anni fa, il 24 febbraio 1945, alla vigilia della Liberazione, veniva assassinato a Milano dai
fascisti Eugenio Curiel, nome di battaglia Giorgio.
«Sconosciuto ucciso durante la fuga»: con questo titolo a una colonna nella pagina della cronaca
milanese il giornale fascista II Lavoro dava notizia, il 25 febbraio 1945, dell’assassinio di Eugenio
Curiel.
Il partito darà la notizia con un articolo dello scrittore Elio Vittorini a ricordo del compagno ucciso
che uscì su L’Unità e su Epoca Nuova (organo centrale del Fronte della Gioventù) rispettivamente il 9 e il 27 aprile del ’45 spiegando “chi era”:

L’uomo che una loro pattuglia di militi uccise e derubò in piazzale Baracca, alle tre del pomeriggio,
qui a Milano, non era uno «di nessuno». Era «nostro», del Partito comunista italiano e dell’Italia che lotta; uno dei migliori e dei capi tra i «nostri». Era Giorgio; aveva trentadue anni, il volto gentile di un ragazzo, tanto di più se sorrideva nei momenti lieti, con quei suoi denti bruciati dal fumo; e tanto di più anche nei momenti duri, se porgeva ad altri la sua fiducia, la sua sicurezza, la sua forza.

La morte dell’eroe antifascista nel racconto dello storico Paolo Spriano:
“si avvia verso piazzale Baracca, una squadra fascista lo raggiunge. Un delatore lo indica ai suoi
assassini: «E’ lui! ». Curiel cerca di fuggire, una scarica di mitra lo abbatte per strada, si rialza, fa
per rifugiarsi in un portone. Una nuova scarica lo finisce.
Longo pianse quando seppe della morte di Eugenio – raccontò la sorella di Curiel Grazia e Gillo
Pontecorvo che lavorava con Eugenio al Fronte della gioventù scrisse a un compagno: “quando
penso al buon sorriso un po’ imbarazzato di Giorgio, quando mi ricordo come si preoccupava di tutto quanto potesse interessarci persino di come si viveva e del nostro umore, ho veramente voglia di fare una strage di quei degenerati assassini”.
Aveva trentadue anni, era nato a Trieste nel 1912, alla sua memoria fu assegnata la medaglia d’oro al valor militare. La motivazione nella sua biografia curata dall’ANPI:
Nonostante l’età era una figura di assoluto rilievo della Resistenza e del Partito Comunista Italiano.
Membro della direzione, direttore de L’Unità e de ‘La nostra lotta’, organizzatore del Fronte della
Gioventù che riuniva i giovani antifascisti di tutte le tendenze, intellettuale e docente universitario.
Ebreo, nato a Trieste nel 1912, era “uno scienziato che ha messo a servizio della lotta comunista le
sue doti migliori”.
Non a caso nel 1969 il vecchio segretario del PCI Luigi Longo, il mitico comandante Gallo della
Guerra di Spagna e della Resistenza, ricorderà Eugenio Curiel con un articolo su l’Unità
significativamente intitolato ‘La Resistenza dei giovani’ sottolineando, proprio attraverso i suoi
scritti, che i comunisti italiani non avevano dovuto attendere il XX congresso del 1956 (la denuncia
dei crimini di Stalin) per elaborare una propria via democratica al socialismo. Longo, che aveva
apertamente sostenuto la Primavera di Praga, indicò nel percorso di Curiel un esempio attuale anche per la nuova generazione ribelle appena uscita dal 1968:
“Curiel è venuto al comunismo, all’attività del nostro partito, non con una sorta di atto di fede, o per
l’impulso di una coscienza di classe. Egli e venuto a noi per una conquista meditata del pensiero,
giorno per giorno.
Egli è il rappresentante più grande, più completo e coerente di quella generazione di antifascisti,
formatasi sotto il fascismo stesso, che ha trovato la propria ispirazione e la propria strada militando
nelle stesse organizzazioni fasciste, maturando, in esse, la propria insoddisfazione per il loro
operato, la propria critica per il sistema sociale di cui sono lo strumento.
Egli è venuto a noi, al nostro partito, non per trovarvi la risposta definitiva a tutti i quesiti che la
coscienza gli poneva, ma perchè sentiva che la nostra dottrina, la nostra azione gli fornivano i più
validi strumenti ideali e di azione per comprendere e affrontare la drammatica realtà italiana e
mondiale di quegli anni di avanzata fascista. (…) Il fascismo, per i giovani. aveva uno slogan:
«credere, obbedire, combattere». L’appello di Curiel, l’appello che si ritrova nei suoi scritti sul Bo,
era un appello a non credere, ma a conquistare una visione critica delle cose, a non obbedire al
fascismo, a non combattere per esso, ma a obbedire alla propria coscienza e a combattere per quanto essa comandava e per la libertà. Questo appello di Curiel conserva, ancora oggi, tutta la sua attualità.

Gianni Fresu ha raccontato “il lungo viaggio contro il fascismo” di Eugenio Curiel in un bel libro che
consiglio:

COMUNISTA DEMOCRATICO
Il suo compagno di partito e di generazione Pietro Ingrao in un articolo del 1982, alla fine della
stagione più viva dei consigli di fabbrica e del lungo sessantotto italiano, sottolineava un “altro
aspetto che fa così significativa e suggestiva la breve, densa, eroica vita di Curiel”, la “ricerca di un
nuovo modello di società”. Scriveva Ingrao: “in alcuni scritti di Curiel, la ricerca di forme di
democrazia, che non si esaurissero nella ripetizione del modelli rappresentativi classici, esiste, e
corre apertamente dentro certe sue pagine. Anche qui, non credo che si tratti di un fatto isolato, e
marginale. Anche qui il discorso era presente non solo nelle file comuniste, ma anche in quelle
socialiste. Morandi e Basso ragionarono su questo. È vero: si può obiettare che ad un certo
momento (e sia pure con vicende diverse) essi furono sconfitti politicamente. Ma è da vedere poi se davvero certe sconfitte non lasciano niente. Solo gli esaltatori dell’esistente, che vedono soltanto ciò che già è catalogato, collaudato, e spesso anche logoro, ragionano così su certi sconfitti. Insomma: certi aspetti del movimento di lotta unitario, che ha caratterizzato l’Italia sia in campo sindacale che in campo politico, sono scaturiti anche da quella ricerca inquieta sulla democrazia cominciata in anni lontani, sia su sponde comuniste che su sponde socialiste”.
Curiel non è solo un formidabile organizzatore e propagandista ma un intellettuale militante che
porta un contributo originale. Lo sottolineava lo storico Paolo Spriano:
è nei suoi articoli che l’idea di una «democrazia progressiva» come regime di nuova democrazia, di popolo, che si appoggerà non solo e non tanto sui CLN ma sulle forze e gli organismi unitari di massa, dal Fronte della gioventù ai comitati d’agitazione operai, dai gruppi di difesa della donna, ai comitati contadini, ai distaccamenti partigiani prende uno spicco maggiore, quasi polemico. «Saranno queste forze — scrive Eugenio nel marzo del 1944 — e solo esse, che presiederanno il nuovo ordine che da questa lotta scaturirà». E se non fosse stato abbastanza chiaro, egli
aggiunge, qualche riga più in là: «Sono le energie che questi organismi hanno forgiato che dovranno prendere possesso della macchina statale e delle amministrazioni locali poiché servano al popolo vittorioso».
Le implicazioni teoriche, di ispirazione marxiana e leniniana, (e perché non anche del Gramsci dei
Consigli?) che questa prospettiva contiene sono rese esplicite in un appunto, allora inedito, di Curiel in cui troviamo la interpretazione indubbiamente più avanzata, e anche più audace della «
democrazia progressiva», allorquando leggiamo:«Democrazia progressiva non significa soltanto una tappa. una fase cui si giunga e nella quale ci si attardi a riprendere lena per marciare ancora: la democrazia progressiva è la formulazione politica del processo sociale della rivoluzione permanente».
Come notava lo storico Ernesto Ragionieri nel 1944 Curiel scrive un articolo in cui “pure
rivendicando la continuità della linea politica del partito comunista italiano con le posizioni del
movimento comunista internazionale”, affermava che “rifarsi necessariamente alle forme che tale rottura ha assunto nell’URSS è criterio storicamente falso, in quanto l’esperienza storica indica che le grandi tappe del progresso sociale si realizzano attraverso una rottura, o una trasformazione qualitativa diluita nel tempo, talora inavvertibile, e non puntualizzabile in altri paesi (rivoluzione borghese, Francia e altri paesi; rivoluzione schiavistica nell’Impero romano).”


LA DEMOCRAZIA PER CUI COMBATTIAMO
Nel gennaio del 1945 Curiel aveva scritto un articolo sul giornale ‘La nostra lotta’ che va riletto oggi
per comprendere lo spirito che animò la Resistenza:
La democrazia che i comunisti propugnano oggi in Italia non è e non può essere semplice
restaurazione di quella che ha dimostrato le sue limitazioni e le sue insufficienze comprimendo e
respingendo l’iniziativa democratica delle masse, allevando nel suo seno il fascismo. Il popolo
italiano deve tendere oggi, unito, tutte le sue energie, per farla finita per sempre col fascismo, per
far fronte ai compiti difficili e grandiosi della guerra di Liberazione e di ricostruzione. Tutte le forze
del popolo debbono mobilitarsi se l’Italia non vuol perire come nazione: e questa mobilitazione può essere l’opera solo di una democrazia nuova, di una democrazia forte e progressiva, di una democrazia «nuova», liberata non solo da ogni residuo delle istituzioni e del personate fascista, ma anche dalle impalcature istituzionali monarchiche antidemocratiche che già nell’Italia prefascista contribuivano ad inceppare ed a falsare il giuoco della sovranità popolare.
Per questo i comunisti propugnano e reclamano, contro le resistenze interessate dei gruppi ristretti
ma potenti, che della dittatura di Mussolini sono stati i complici ed i profittatori, l’epurazione
immediata e radicale della vita italiana dai residui dell’oppressione, della corruzione, del tradimento
fascista. Per questo i comunisti propugneranno alla Costituente I’eliminazione della monarchia
corresponsabile del fascismo, una soluzione repubblicana, conseguentemente democratica, del
problema istituzionale. E risolvere in modo conseguentemente democratico il problema istituzionale significa fondare il potere sull’autodecisione e sull’intervento diretto delle masse, sull’autogoverno,cioè, delle masse popolari.
Una democrazia nuova, capace di mobilitare le masse nello sforzo e nei sacrifici della lotta di
liberazione e della ricostruzione non può essere solo il frutto ed il prodotto di un mutamento
istituzionale; non può esaurirsi nel semplice meccanismo di periodiche consultazioni elettorali; deve tradursi in un atteggiamento ed in una partecipazione nuova delle masse al governo della cosa pubblica. La lotta di liberazione e l’opera della ricostruzione portano alla ribalta una nuova classe dirigente, la classe operaia, avanguardia di tutte le masse oppresse e sfruttate. A differenza delle vecchie classi dirigenti della democrazia conservatrice, sempre preoccupate della conservazione dei loro privilegi, questa classe nuova è interessata non già a respingere ed a comprimere, ma anzi a suscitare ed a promuovere l’iniziativa democratica delle masse popolari e delle loro libere organizzazioni, la loro partecipazione diretta ed attiva alla soluzione dei loro problemi.
Solo questa iniziativa e questa partecipazione cosciente ed attiva possono assicurare il successo
della mobilitazione nazionale nello sforzo grandiose e nei duri sacrifici per la guerra di Liberazione
e per la ricostruzione del paese. Nessuna forma di direzione o di governo «dall’alto» sarebbe capace di realizzare questa mobilitazione, di suscitare nelle masse l’entusiasmo necessario alla lotta ed alla vittoria. Per questo il partito della classe operaia vuole che la nuova democrazia sia una democrazia «forte», forte di una effettiva e quotidiana partecipazione delle più larghe masse popolari alla soluzione dei loro problemi, forte dello interessamento e del presidio di tutto il popolo, forte contro i nemici della democrazia, forte contro quanti, difendendo interessi e privilegi di casta o di classe, vogliono sottrarsi ai doveri e ai sacrifici della solidarietà nazionale.
Ma una democrazia nuova, così rafforzata e presidiata, non potrebbe essere una democrazia
conservatrice, solo preoccupata di ottenere, con un voto popolare, la formale sanzione ai privilegi
delle caste dominanti. Nella loro partecipazione diretta e responsabile alla soluzione dei compiti
della Liberazione e della ricostruzione, la classe operaia e le più larghe masse popolari portano, con le loro libere organizzazioni, la loro forza, e l’esigenza ed il peso delle loro necessità di vita e delleloro aspirazioni sociali: danno alla democrazia un senso ed un contenuto nuovo, non statico e
conservatore ma dinamico e progressista, Ed è per questa democrazia nuova, forte, «progressiva», aperta a tutte le conquiste, ad ogni progresso politico e sociale, senz’altro limite che quello della volontà popolare, che i comunisti combattono.

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