Questione cattolica e questione religiosa nella storia del Pci

di Gennaro Lopez

La storia del Pci, da Gramsci fino a Berlinguer, è attraversata dalla riflessione sulla “questione cattolica”. Gramsci, andando oltre il “tradizionale” anticlericalismo socialista, già nel 1919 vedeva nel neonato partito dei cattolici, il Partito Popolare, il frutto della laicizzazione e del rinnovamento di matrice post-unitaria, che avrebbe potuto contribuire ad una progressiva maturazione del proletariato italiano in direzione di un orizzonte socialista. Nel 1924, ormai in pieno fascismo e col Partito Popolare in piena crisi, egli elaborerà una netta distinzione tra politica vaticana e cattolicesimo politico italiano; e ancora, nel periodo del carcere, dunque nei Quaderni, Gramsci svilupperà un’analisi articolata della Chiesa, della sua gerarchia, delle sue organizzazioni, in particolare dell’Azione Cattolica, considerata come vero e proprio braccio secolare della politica pontificia; egli distingue, inoltre, all’interno del mondo cattolico, tre correnti in lotta per l’egemonia (integralisti, gesuiti, modernisti).

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Palmiro Togliatti, una lezione da riscoprire

 

 Alexander Höbel

Pubblicato originariamente su sinistraineuropa.it
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Il 26 marzo del 1893 nasceva a Genova Palmiro Togliatti, il massimo esponente del comunismo italiano assieme ad Antonio Gramsci, che era di soli due anni più grande, ma di cui Togliatti si considerò sempre un allievo, oltre che un amico e un compagno di lotta.
A tanti anni di distanza anche dalla sua scomparsa, e dopo una lunga fase di damnatio memoriae, a partire almeno dal 50° anniversario della morte, nel 2014, una rilettura della sua opera si sta affermando anche sul piano storiografico. Una recente biografia ne mette in luce il forte realismo (quel realismo che ha le sue radici in un classico del pensiero politico come Niccolò Machiavelli). Né sono mancati volumi che hanno messo in luce, da un lato, la continuità della sua opera in relazione al tema della democrazia italiana; dall’altro, il suo ruolo nella vicenda del comunismo internazionale del XX secolo, che ne fa per certi versi un “leader globale” ante litteram . E tuttavia, per infelice paradosso, proprio nel momento in cui la figura di Togliatti viene giustamente rivalutata sul piano storiografico, la sua lezione appare largamente dimenticata sul terreno politico. Ed è invece proprio dell’attualità politica di molti suoi insegnamenti che vorrei soffermarmi. Continua a leggere “Palmiro Togliatti, una lezione da riscoprire”

Alla Bolognina si è chiusa la Repubblica

Michele Prospero, 21.01.2021

Profondo rosso. La generazione dei quadri post ’68 non ha assorbito il nucleo del togliattismo, ha
tenuto il realismo politico e ha rinunciato alla strategia di cambiamento. La svolta ha alzato un’onda
che alla lunga ha lesionato le stesse istituzioni
Prima ancora che i pezzi di muro lo graffiassero, il Pci aveva già subito una mutazione. L’inizio
anagrafico del partito risale al gennaio del ’21. E al mito dell’ottobre è connessa la formazione del
suo primo gruppo dirigente, per tanti versi eroico. Ma la nascita, per così dire, logica del soggetto
politico è databile solo 1944. Il congresso di Lione e altre fantasiose ricostruzioni di oggi, suggerite
pigramente dal Gramsci, c’entrano ben poco. Un partito clandestino in dottrina non è infatti
considerato un vero partito, o lo è in un senso molto sui generis. Un organismo deve partecipare al
voto competitivo, svolgere attività pubblica per essere una forma-partito.

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Il centenario del Pci: la resa dei conti degli storici anticomunisti

di Vindice Lecis  da Fuori Pagina del 6 gennaio 2021

Libri, articoli di giornale, interviste. Il centenario della nascita del Pci (21 gennaio 1921) sta conquistando più attenzioni di quanto si potesse supporre in questa Italia ormai priva dei partiti architrave della Repubblica e della Costituzione. Forse c’è stupore per il fatto che, pur non essendoci più il Pci, ancora si parli di quella straordinaria vicenda storica. Che appare ancora una materia viva. Ecco perché sono rievocazioni con molte valenze: si passa da lavori onesti, anche critici, a una resa di conti postuma. In questo secondo campo si distinguono i liberali, professionisti che non riescono a sfuggire dall’ossessione dei comunisti fornendo immagini deformate dalla lente di lettura figlia della guerra fredda. Ne vedremo qualcuna

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BRUNO CIARI. L’EREDITÀ DI UN INTELLETTUALE COMUNISTA

di Gennaro Lopez

Il 27 agosto 1970 moriva a Bologna Bruno Ciari, figura di educatore e dirigente comunista, che presenta aspetti di straordinaria attualità. Una personalità originale e complessa, che alcuni dati biografici aiutano a illuminare.

Nato a Certaldo il 16 aprile 1923, fu combattente antifascista, dirigente politico (segretario della locale sezione del Pci “Fratelli Cervi” dal maggio ’45 al settembre ‘46) e amministratore (consigliere comunale e assessore alla P.I. di Certaldo). La prima impronta alla sua cultura pedagogica fu data da Ernesto Codignola, di cui fu allievo a Firenze. Verso la fine del 1952 era entrato a far parte del Movimento della Tipografia a Scuola, costituito un anno prima a Fano da Giuseppe Tamagnini e ispirato alle tecniche didattiche di Freinet (da quella esperienza nascerà poi il Movimento di Cooperazione Educativa).

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L’internazionalismo, nella diversità

di Fulvio Lorefice

La spinta a collegare le sue vicissitudini a quelle del mondo circostante venne dalla guerra. In mare, negli angusti spazi di un sommergibile, l’irrequietezza giovanile si fece coscienza politica: «a me la dichiarazione di essere socialista» – scrive Barca il 25 luglio 1943, a esito del censimento politico sul sommergibile in cui è imbarcato – «è venuta spontanea» (Luciano Barca, Buscando per mare con la Decima Mas, 2013, p. 78). «Ci sono state a bordo, nelle ore di veglia, letture importanti, riflessioni critiche» ma «a sancire la scelta c’è l’arrivo a La Spezia» con l’«inatteso spettacolo» di «decine di bandiere rosse» (Barca, cit., 78-79

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