Subalternità culturale e sinistra. L’infinita telenovela sul “perfido” Togliatti. Di Alexander Hobel

pci-gramsci-togliattiL’operazione politico-culturale volta a colpire la figura di Palmiro Togliatti – presentandolo come nemico, traditore e occultatore di Antonio Gramsci, e magari complice sua della morte, anziché come il dirigente politico che più di chiunque altro seppe tutelarne, diffonderne e proseguirne l’elaborazione – ha trovato una nuova puntata nell’ultimo libro di Mauro Canali, Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata, Marsilio 2013. Sul sito della International Gramsci Society (Igs) – Italia, Antonio di Meo  e Nerio Naldi  hanno già provveduto a smontare parte delle argomentazioni sostenute da Canali; e altri studiosi stanno facendo altrettanto in altre sedi. Tuttavia, come sempre accade in questi casi, i principali mezzi d’informazione non danno molto spazio a contributi critici di questo tipo, preferendo accrescere il coro dei “laudatores”. Colpisce e dispiace che a tale coro si sia aggiunta anche la rivista “Left”, che pure viene diffusa assieme a quella “Unità” di cui Gramsci fu fondatore. Pubblichiamo quindi la lettera che Guido Liguori, vicepresidente della nostra associazione e presidente della Igs-Italia, ha inviato alla redazione della rivista, esortandola a un diverso approccio nell’affrontare questioni così delicate. Per parte nostra, condividiamo le sue parole e quelle contenute nel citato intervento di Di Meo: «Per dar vita a un Togliatti “occultatore” del “vero” pensiero di Gramsci è stata necessaria la superba invenzione – stravagante e filologicamente molto fantasiosa – di un “Quaderno mancante”. Senza Togliatti, in realtà, sarebbero mancati tutti i 33 Quaderni ora a nostra disposizione!». Un fatto, questo, che non andrebbe mai dimenticato da parte di chi intenda ricostruire la complessa vicenda del rapporto tra due dirigenti politici (e due intellettuali) così importanti nella storia italiana del XX secolo.

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Cara redazione di Left,

sono rimasto molto dispiaciuto nel vedere nel numero della rivista oggi in edicola una intervista di Elisabetta Amalfitano a Mauro Canali che è semplicemente una esaltazione acritica delle tesi dello studioso sul presunto “tradimento” di Gramsci da parte di Togliatti. Si dovrebbero sentire in proposito più “campane”, non spingere l’opinione pubblica in una sola direzione, spacciando per ormai scontate tesi interpretative che sono invece estremamente controverse nella comunità scientifica. Come presidente della International Gramsci Society Italia, parte di una libera comunità di studiosi diffusa in tutto il mondo, vi invito a visitare il nostro sito (www.igsitalia.org) , dove troverete due recensioni, di Antonio Di Meo e Nerio Naldi, che smontano completamente le tesi di Canali. Se poi volete fare anche la fatica di leggere qualcosa di più ampio, vi rimando alla raccolta di scritti togliattiani su Gramsci da me curata e ripubblicata recentemente da Editori Riuniti university press, con una introduzione sui rapporti tra i due autori. Ho la speranza che possiate dare una informazione più completa e meno unilaterale. Cordiali saluti,

Guido Liguori Presidente della International Gramsci Society Italia (Igs Italia)

Pietro Ingrao, realista eretico del Novecento, di Gianpasquale Santomassimo

Recensione dei volumi della collana Carte Ingrao di Gianpasquale Santomassimo da Il Manifesto dell’11/12/2013

Ingrao, Rodotà

Pietro Ingrao. Uomo delle istituzioni, costruttore di democrazia, uomo di partito, utopista. Sono alcune delle definizioni che hanno accompagnato la sua lunga militanza comunista e intellettuale. Due volumi che ripercorrono le tappe. Il primo raccoglie cinque contributi su un «capocorrente riluttante» che ha avuto un ruolo rilevante nella sinistra italiana. Il secondo libro, invece, presenta i suoi scritti sul lavoro, dove dialoga alla pari con uomini e donne considerati i pilastri della Costituzione

«Pochi sono, nella sto­ria, i pro­ta­go­ni­sti reni­tenti ad essere tali», era l’esordio memo­ra­bile del pro­filo di Mar­tin Lutero scritto da Delio Can­ti­mori nel 1966. Si sta par­lando di ere­sia, e forse, si parva licet, non è del tutto fuori luogo acco­stare Pie­tro Ingrao alla figura di un pro­ta­go­ni­sta rilut­tante sul ter­reno dell’eresia. Con la dif­fe­renza, però, che nel caso di Ingrao la reni­tenza non venne abban­do­nata, se non troppo tardi, a gio­chi ormai fatti, e in chiave retro­spet­tiva. In qual­che misura si potrebbe addi­rit­tura rie­su­mare l’«actus, non agens» per un pro­ta­go­ni­sta che affermò sem­pre la sua volontà di venir preso nel «gorgo» della sto­ria, ma sarebbe for­zare troppo l’analogia.

Ingrao fu «capo-corrente» rilut­tante ad esserlo, più per­ce­pito e iden­ti­fi­cato come tale che eser­ci­tante una effet­tiva volontà di agire in quel senso. Attorno a Ingrao si era costi­tuita nei primi anni Ses­santa qual­cosa che somi­gliava molto a una cor­rente (fra­zione la defi­nirà poi lui stesso in Volevo la luna). Non si vuol dire a sua insa­puta, il che sarebbe offen­sivo, ma certo senza il suo patro­ci­nio e senza la sua dire­zione attiva. E la cosa anzi gli è stata rim­pro­ve­rata più volte.

Il matu­rare di un dub­bio, sin­tesi ine­vi­ta­bil­mente sem­pli­fi­cata di molti dubbi (e sulla cate­go­ria del dub­bio e sulla sua decli­na­zione in Ingrao si vedano le pagine molto belle di Andrea Camil­leri), che alla metà degli anni Ses­santa diviene dis­senso espli­cito e riven­di­cato come tale (e, soprat­tutto, riven­di­cato come diritto nel modo di esi­stere dell’organismo poli­tico), lo porta a venire iden­ti­fi­cato allora e in seguito come lea­der di una tendenza.

Torti e ragioni

I ter­mini del con­ten­dere tra Ingrao e Gior­gio Amen­dola (che venne iden­ti­fi­cato come il suo anta­go­ni­sta) sono molto lon­tani nel tempo, tal­mente lon­tani che Ingrao vi dedica pochi cenni nella sua auto­bio­gra­fia. All’inizio degli anni Ses­santa, men­tre si pro­fi­lava la svolta del cen­tro­si­ni­stra, ten­sioni e intel­li­genze inquiete tanto nel par­tito quanto nel sin­da­cato comin­cia­rono a inter­ro­garsi sulle novità che inter­ve­ni­vano nella società e nella poli­tica in Ita­lia. Sulla pro­po­sta pos­si­bile di un nuovo modello di svi­luppo dell’economia ita­liana, men­tre il «mira­colo eco­no­mico» si affie­vo­liva, lasciando die­tro di sé una rivo­lu­zione epo­cale che aveva infranto quello che a distanza di tempo venne defi­nito il «blocco di quin­dici secoli» di una Ita­lia con­ta­dina, quasi immu­ta­bile nei suoi fon­da­men­tali, e con tutti i traumi e gli squi­li­bri che una tra­sfor­ma­zione di que­sta por­tata met­teva dram­ma­ti­ca­mente in luce. Si impo­ne­vano tanto una ana­lisi del «neo­ca­pi­ta­li­smo» ita­liano che sem­brava trion­fare, quanto delle impli­ca­zioni imme­diate e di pro­spet­tiva che la rot­tura dell’unità del movi­mento ope­raio com­por­tava con l’ingresso dei socia­li­sti nell’area di governo.

Retro­spet­ti­va­mente, lon­tani come siamo da quella con­tesa, potremmo dire che torti e ragioni erano fram­mi­sti in entrambe le let­ture con­trap­po­ste della società ita­liana che sot­tin­ten­de­vano: c’era dav­vero un neo­ca­pi­ta­li­smo dina­mico, e al tempo stesso il capi­ta­li­smo ita­liano con­ser­vava carat­te­ri­sti­che di arre­tra­tezza e arcai­cità che sareb­bero tor­nate ad emer­gere; il cen­tro­si­ni­stra rap­pre­sen­tava una svolta, ma non l’«integrazione» della classe ope­raia nelle logi­che di un sistema, come le lotte alla fine del decen­nio avreb­bero evidenziato.

Quasi dimen­ti­cato nel tempo è invece l’avvio di quella con­tesa, che si può far risa­lire al dicem­bre 1964, nella scelta del gruppo par­la­men­tare comu­ni­sta diviso tra le can­di­da­ture di Sara­gat e di Fan­fani alla Pre­si­denza della Repub­blica, con ciò che sot­tin­ten­de­vano in ter­mini di alleanze da pri­vi­le­giare, tra blocco laico o pro­gres­si­smo cat­to­lico. Qui Ingrao scon­fitto vide pre­va­lere nel tempo lungo la sua opzione, ma in cir­co­stanze diverse da quelle imma­gi­nate e dopo il dis­sol­vi­mento della nebu­losa che attorno a lui si era creata.

Ma ci sono alcune par­ti­co­la­rità nel per­corso di Ingrao su cui è oppor­tuno sug­ge­rire una rifles­sione futura. La sua vita poli­tica molto intensa lo ha visto impe­gnato soprat­tutto nel gior­nale di par­tito e nel Par­la­mento, assai poco nelle strut­ture del par­tito vero e pro­prio, dove non ha mai rico­perto inca­ri­chi diret­tivi, salvo una breve per­ma­nenza nella Segreteria.

Pie­tro Ingrao è stato cer­ta­mente «uomo di par­tito» e tra i più rap­pre­sen­ta­tivi del comu­ni­smo ita­liano, diri­gente amato dal popolo comu­ni­sta, pur senza esser mai né popu­li­sta né «capo­polo». Ma fu soprat­tutto «uomo delle isti­tu­zioni», da gestire e da rifor­mare. Capo­gruppo alla Camera dei depu­tati, suc­ce­duto nel ruolo a Togliatti e per­ciò indi­cato da taluni come «del­fino», rico­prì poi il ruolo di Pre­si­dente della Camera tra il 1976 e il 1979.

Fu allora uomo della «cen­tra­lità del par­la­mento», come ricorda giu­sta­mente Mario Tron­ti­nella sua Lezione del 2010 su Per­sona e poli­tica. Cosa si vuol dire? Va ricor­data la par­ti­co­la­rità della breve legi­sla­tura della Pre­si­denza Ingrao. C’era un governo di mino­ranza, che si reg­geva su asten­sioni con­cor­date, e c’era, soprat­tutto, un Par­la­mento che legi­fe­rava libe­ra­mente senza schie­ra­menti pre­co­sti­tuiti, e che approvò leggi impor­tanti e fon­da­men­tali tanto sul piano civile che sul piano sociale. Anche su que­sto ter­reno, l’ultimo Ingrao è molto sbri­ga­tivo e nell’autobiografia parla pres­so­ché esclu­si­va­mente del «rovello» legato alla man­cata libe­ra­zione di Moro (fu tra i desti­na­tari delle sue let­tere). Ma i ter­mini più pro­pri e spe­ci­fici dell’impegno poli­tico di Ingrao in que­gli anni furono quelli legati alla costru­zione di una demo­cra­zia, alla «nuova rela­zione fra Stato e popolo» che emer­geva dalla Costi­tu­zione, alla neces­sa­ria riforma di quel rap­porto attra­verso una rela­zione più ricca tra Par­la­mento e «trama delle assem­blee elet­tive locali», che diverrà nel tempo vero e pro­prio pro­getto di riforma com­ples­siva delle isti­tu­zioni, l’ultimo pro­getto, se pure inde­fi­nito nelle sue arti­co­la­zioni, di riforma isti­tu­zio­nale nel qua­dro della fedeltà ai prin­cipi costi­tu­zio­nali e in clima di mas­sima soli­dità ed espan­sione di un «sistema dei par­titi» del quale pochi comin­cia­vano ad avver­tire le prime crêpe.

Quale fosse lo spi­rito che ani­mava la sua pre­si­denza si può cogliere benis­simo nel discorso alle accia­ie­rie di Terni del 10 feb­braio 1978, dove Ingrao non parla da ospite o da auto­rità in visita isti­tu­zio­nale, ma si pone alla pari con gli inter­lo­cu­tori. Non parlo ad estra­nei — dice rivol­gen­dosi agli ope­rai — «parlo a gente che sta alla radice delle norme solenni scritte in quella carta: parlo a “fon­da­tori”, a “costi­tuenti”». Chie­deva loro di entrare nelle isti­tu­zioni recando con sé tutti i pro­blemi e la sapienza che il loro vis­suto faceva emer­gere, per arric­chire un patto costi­tu­zio­nale da ren­dere con­creto e operante.

1804-4 Lezioni per Pietro Ingrao_cop_14-21Un curiosità interrogante

Finita per sua volontà quella espe­rienza, Ingrao scelse di dedi­carsi attra­verso il Cen­tro per la Riforma dello Stato alla que­stione dello Stato da ripen­sare, al rap­porti tra demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva e demo­cra­zia dif­fusa, tra isti­tu­zioni e società come asse di ricerca per una pos­si­bile tran­si­zione al socia­li­smo, con quella «curio­sità inter­ro­gante» che ha carat­te­riz­zato negli anni l’atteggiamento del per­so­nag­gio di fronte ai suoi tempi.

Ci sono però tre ordini di pro­blemi da distin­guere nettamente:

1) c’è l’Ingrao sto­rico, che dovrà essere pazien­te­mente rico­struito attra­verso le sue Carte, che qui ini­ziano a vedere la luce, docu­menti che soli potranno con­sen­tire la rico­stru­zione del suo agire poli­tico nel tempo e della dimen­sione cul­tu­rale (e let­te­ra­ria) che fu sem­pre stret­ta­mente con­nessa alla sua azione.

2) c’è l’Ingrao che ognuno si è costruito (come nota Ste­fano Rodotà) attra­verso il pro­prio par­ti­co­lare, più o meno inteso «ingrai­smo», o attra­verso una valu­ta­zione comun­que par­te­cipe pur se distante. Pro­prio le carat­te­ri­sti­che di lea­der «rilut­tante» che abbiamo ricor­dato hanno fatto sì che Ingrao dive­nisse sim­bolo di qual­cosa dif­fi­cile da defi­nire in ter­mini uni­voci, ma comun­que lie­vito e sti­molo per tanti.

3) e infine a com­pli­care le cose c’è anche l’Ingrao di Ingrao mede­simo. C’è in par­ti­co­lare l’ultimo periodo di rica­pi­to­la­zioni auto­bio­gra­fi­che (non solo il Volevo la luna, ma anche gli arti­coli sulla Rivi­sta del mani­fe­sto, le molte inter­vi­ste e i libri che ne sono a volte sca­tu­riti) che suscita molte per­ples­sità. Per­ché Ingrao si è dedi­cato ad auto­cri­ti­che che anda­vano spesso al di là del dovuto e del logico per diven­tare auto­fla­gel­la­zioni. E soprat­tutto per­ché l’ultimo Ingrao sem­bra in qual­che misura avere inte­rio­riz­zato e fatto pro­prie raf­fi­gu­ra­zioni dif­fuse e ridut­tive che sono a lungo cir­co­late sulla sua opera com­ples­siva. Accenno sol­tanto alla riven­di­ca­zione ricor­rente e quasi pre­do­mi­nante della forza dell’utopia, e addi­rit­tura l’autodefinirsi acchiap­pa­nu­vole (e senza vir­go­lette) per raf­for­zare que­sta immagine.

Credo che sia neces­sa­rio però uscire dalle neb­bie dell’«ingraismo», pur senza tra­scu­rare ovvia­mente la forza di miti che vivono di vita pro­pria e assu­mono forza di suggestione.

Biso­gne­rebbe invece ripar­tire da un’affermazione molto impor­tante di Ste­fano Rodotà nella sua bella intro­du­zione agli scritti di Ingrao sulla con­di­zione ope­raia, e che rove­scia il senso delle imma­gini ricor­renti. A ben vedere non è para­dos­sale affer­mare che su que­sto ter­reno l’Ingrao poli­tico fu «il più rea­li­sta di tutti». Nell’Ingrao che si occupa del lavoro c’è supe­ra­mento dell’economicismo, pro­prio di tanta parte dell’approccio poli­tico e sin­da­cale. C’è la per­ce­zione evi­dente dell’attacco al lavoro, e ai lavo­ra­tori in carne ed ossa, con tutta la disu­ma­nità e l’alienazione che que­sta com­porta. Non è un caso che ricorra tante volte nelle memo­rie di Ingrao il Cha­plin di Tempi moderni, che sem­bra avere influen­zato in forma dura­tura la sua per­ce­zione della moder­nità. Nell’articolo su La Tipo e la notte da cui prende titolo il volume (sul mani­fe­sto del feb­braio 1993) si parla dell’introduzione del lavoro not­turno come norma nella Fiat di Melfi, con lo scon­vol­gi­mento dei ritmi di vita, di affetti, dei rumori e dei silenzi che que­sto com­porta. C’era in que­sti scritti la capa­cità di cogliere il senso della pre­ca­rietà prima ancora che essa venisse rico­no­sciuta come com­po­nente essen­ziale della nuova con­di­zione lavo­ra­tiva e delle impli­ca­zioni reali di una «fles­si­bi­lità» che comin­ciava a imporsi come modello obbli­gato e indi­scusso. Ma soprat­tutto – in que­sto credo risieda il vero «rea­li­smo» di Ingrao – c’era la con­sa­pe­vo­lezza di par­lare sem­pre di per­sone reali, non di modelli socio­lo­gici ed eco­no­mici, con tutto il rispetto che alle per­sone è dovuto.

Gli uomini volano

A pro­po­sito di ere­sie, dopo aver citato Can­ti­mori, mi viene in mente anche un’autodefinizione di Euge­nio Garin, che si definì spesso «un ere­tico». Ma con una pre­ci­sa­zione sin­go­lare e impor­tante, scritta nel 1960: «l’eresia è feconda in quanto non si este­nua in una pro­te­sta anar­chica, ma è ere­sia den­tro un’ortodossia». Que­sta con­ce­zione dell’«eretico all’interno di una orto­dos­sia», è meno stra­va­gante di quanto possa sem­brare a prima vista, in quanto i due ter­mini si sosten­gono a vicenda e sono entrambi neces­sari. L’eresia ha un senso solo se nasce all’interno di un grande pro­getto, e l’eretico è tale solo se è parte di una comu­nità, di cui con­di­vide gli obiet­tivi di fondo.

C’è un rac­conto molto sug­ge­stivo nel Sarto di Ulm di Lucio Magri, per citare un altro grande poli­tico e intel­let­tuale che fu vicino alle sug­ge­stioni di Ingrao. Nella prima pagina del libro Magri scri­veva che l’idea del titolo gli era venuta ricor­dando un’affollata assem­blea in cui Ingrao, dopo la Bolo­gnina e in pole­mica con Occhetto, aveva citato scher­zo­sa­mente la poe­sia di Bre­cht sul sarto che voleva volare. E pro­se­guiva: «Tut­ta­via, com­menta Bre­cht – alcuni secoli dopo gli uomini riu­sci­rono effet­ti­va­mente a volare».

Que­sta cosa però non esi­ste in Bre­cht, era un’aggiunta otti­mi­stica di Ingrao. Il sarto si spiac­cica al suolo, e il vescovo con­ferma che l’uomo non può volare, e Bre­cht qui si ferma. Ma quell’aggiunta ci fa capire la dispo­si­zione men­tale di Ingrao: volare dav­vero, arri­vare alla luna, non solo volerla, assieme a milioni di altre per­sone che sognano la stessa conquista.

Scritti su Gramsci. Palmiro Togliatti a cura di Guido Liguori. Editori Riuniti 2013

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Gli Editori Riuniti hanno ripubblicato la raccolta di interventi di Togliatti su Gramsci intitolata “Scritti su Gramsci”, curata nel 2001 da Guido Liguori.

[…] Non riesco a trovare, nella storia dell’ultimo secolo del nostro paese, una figura che gli stia a pari, dopo la scomparsa dei grandi del Risorgimento. […] Nella sua vita la dialettica della lotta tra la volontà e la ragione e le spinte oggettive naturali e sociali assume però le note del dramma, che non tanto prelude, quanto è già un atto vissuto della ricerca morale dei tempi nostri. […] Così ci appare egli oggi, nella unità inscindibile della lotta politica da lui condotta e della riflessione quieta (ma non sempre…) dei Quaderni del carcere. Antonio Gramsci è la coscienza critica di un secolo di storia del nostro paese. […] Conta più di tutto quel nodo, sia di pensiero, sia d’azione, nel quale tutti i problemi del tempo nostro sono presenti e si intrecciano. È anche un nodo di contraddizioni, lo so; ma sono contraddizioni che trovano la loro soluzione non in un pacifico giuoco di formule scolastiche, ma nell’affermazione di una ragione inesorabilmente logica, di una verità spietata e della costruzione operosa di una nuova personalità umana, in lotta non solo per comprendere, ma per trasformare il mondo. Palmiro Togliatti (da Gramsci un uomo, 1964)

[…] Andando al di là di alcuni elementi indubbiamente datati e anche fuorvianti, facilmente individuabili, dovuti al contesto storico in cui questi interventi furono composti […] gli scritti e i discorsi di Togliatti su Gramsci offrono elementi e spunti di rilievo, molti dei quali sono stati a lungo ignorati o non adeguatamente valorizzati. Togliatti per primo, e con migliore conoscenza di chiunque altro, ha indicato elementi importanti per comprendere il percorso del suo antico compagno di studi prima e di militanza e di lotta politica poi. Basti per tutti ricordare l’affermazione […] per cui gli scritti gramsciani potranno essere compresi pienamente solo da chi avrà conquistato una conoscenza approfondita dell’attività politica di Gramsci: indicazione, questa, che è stata raccolta fin dagli anni Sessanta-Settanta per quel che concerne gli scritti precarcerari, ma che solo negli ultimi anni è stata seguita facendo registrare consistenti progressi anche per quel che riguarda gli anni del carcere. […] (Dalla prefazione alla presente edizione)

Guido Liguori, è docente di Storia del pensiero politico contemporaneo presso l’Università della Calabria, presidente della International Gramsci Society Italia e caporedattore della rivista di cultura politica «Critica marxista». È autore tra l’altro dei seguenti libri: Gramsci. Guida alla lettura (con Chiara Meta, 2005); Sentieri gramsciani (2006, vincitore del Premio Sormani, tradotto in Brasile); La morte del Pci (2009, pubblicato anche in Francia). Ha curato nel 2009 con Pasquale Voza il Dizionario gramsciano 1926-1937, contenente oltre 600 voci scritte da 60 specialisti di diversi paesi.

GUIDO LIGUORI

INDICE

7 Prefazione alla nuova edizione

9 Introduzione di Guido Liguori

40 Nota ai testi Scritti su Gramsci

47 Antonio Gramsci un capo della classe operaia

52 In memoria di Antonio Gramsci

65 Antonio Gramsci capo della classe operaia italiana

99 La politica di Gramsci

102 L’eredità letteraria di Gramsci

104 Lezione di marxismo

107 L’insegnamento di Antonio Gramsci

115 Discorso su Gramsci nei giorni della Liberazione

126 Gramsci, la Sardegna, l’Italia

138 Antonio Gramsci e don Benedetto

140 Pensatore e uomo di azione

160 Gramsci sardo 166

L’antifascismo di Antonio Gramsci

193 Storia come pensiero e come azione

203 Attualità del pensiero e dell’azione di Gramsci

224 Il leninismo nel pensiero e nell’azione di A. Gramsci (Appunti)

247 Gramsci e il leninismo

276 La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-24

302 Gramsci e la legge contro la massoneria

309 Rileggendo «L’Ordine Nuovo» 320 Gramsci, un uomo

324 Indice dei nomi

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