Berlinguer, il partito, la politica internazionale.

Saggio di Alexander Höbel

Praga, punto di svolta nei rapporti tra Pci e Pcus.
La distensione internazionale e il superamento dei blocchi. Eurocomunismo, terza via, terza fase.
Il dialogo con la sinistra socialdemocratica e col Terzo mondo. L’obiettivo del socialismo nella democrazia.

Enrico Berlinguer viene eletto segretario generale del Pci nel marzo 1972, al termine del XIII Congresso. Per tre anni ha svolto la funzione di vice-segretario accanto a un leader storico come Luigi Longo, che nel- l’autunno del 1968 era stato colpito da un ictus. Poco prima, dinanzi all’intervento del Patto di Varsavia nella Cecoslovacchia del Nuovo corso di Dubček, con- dannato con nettezza dal Pci, Berlinguer era stato tra i più critici, e nel dibattito interno aveva posto il pro- blema di una possibile rottura col Partito comunista sovietico e della necessità di preparare il Partito a tale eventualità. Longo aveva espresso una posizione al- trettanto severa sull’intervento militare, ma aveva esortato a «stare attenti a non lasciarci spingere fuo- ri dal campo dove vogliamo restare», il campo legato ai paesi socialisti e più in generale al fronte antimpe- rialista mondiale; e la maggioranza della Direzione aveva concordato col segretario. Aprendo una riunio- ne di segretari regionali e federali Berlinguer aveva ribadito: le posizioni del Pci contestate dai sovietici «sono per noi qualcosa di irrinunciabile […] parte essenziale del nostro patrimonio politico». Bisognava «approfondire le nostre posizioni e al tempo stesso evi- tare le rotture», il che poi costituiva «una messa alla prova» della togliattiana unità nella diversità. Il punto era dunque quello di rivendicare ancora di più che in passato «un sistema […] di rapporti democratici tra tutti i partiti comunisti», come effetto ed esigenza dello sviluppo del movimento comunista che implicava una articolazione di posizioni e anche di opzioni strategiche su cui non si poteva mettere alcun «tappo». L’internazionalismo implicava la diversità delle posizioni e il poli- centrismo auspicato da Togliatti diventava una necessità ineludibile [Höbel 2010a, pp. 538-541].

Petroselli, il Pci e le amnesie della Rai

Articolo di Lelio La Porta

Sabato primo marzo 2014 alle ore 19,30 è andato in onda, come tutte le sere, il Telegiornale Regionale del Lazio sulla Terza Rete della Televisione di Stato. A cura di Betty Beltrami è stato proposto un servizio sulla presentazione, avvenuta a Roma la mattina, di un documentario di Andrea Rusic su Petroselli (nato il 1° marzo 1932).
La giornalista, dopo aver ricordato la provenienza di Petroselli da Viterbo, dove era stato segretario della Federazione di un Partito non citato e quindi, probabilmente, mai esistito, e aver rammentato il suo ruolo di direzione del Comitato regionale del Lazio di non si sa quale Partito, chiudeva con un’autentica chicca, relativa alla morte di Petroselli, avvenuta, veniva detto nel servizio, «al termine di un accorato intervento al Comitato centrale del Pd». Insomma, la Beltrami, pur di non nominare il Partito comunista, si è sottoposta a delle giravolte verbali audaci e quasi ingenue nella loro profonda (e forse voluta) ignoranza.
Ricordiamo che Petroselli è morto il 7 ottobre del 1981, quando ancora esisteva il Pci, nelle cui liste aveva ottenuto 130.000 voti di preferenza nelle elezioni del 1981, con le quali era stato rieletto sindaco, carica che aveva già ricoperto dal 27 settembre del 1979, dopo le dimissioni di Argan. La giornalista, avrebbe detto Amendola, dovrebbe andare a studiare (non semplicemente a ripassare, come le potrebbe suggerire un qualsiasi “buonista”).
E, soprattutto, è necessario che in questa fase di “renzusconismo” le persone che hanno fatto del loro impegno politico la ragione della loro esistenza vengano ricordate per quello che sono state e che ancora sono per moltissime e per moltissimi. Petroselli era comunista e ha vissuto pienamente l’esperienza del Pci. Scrisse Pajetta su “l’Unità” dell’8 ottobre del 1981 che Petroselli era morto come Togliatti a Yalta e Di Vittorio a Lecco (e, possiamo aggiungere, come sarebbe morto Berlinguer a Padova tre anni dopo) sul lavoro, «perché in questo partito, in mezzo alla gente, inseguendo quasi l’ossessione di poter fare ancora qualche cosa è sembrato loro di poter essere pienamente se stessi».
Cliccando sul seguente link si può ascoltare e vedere il servizio in questione. Anche una risata li seppellirà! http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-983f8280-0b8a-47db-9e68-d0531b98ebce-tgr.html