Ghirlanda fiorentina

Di Gianpasquale Santomassimo

Alla luce delle rinnovate polemiche sull’azione partigiana che portò alla morte di Giovanni Gentile e all’attuale apologia del filosofo compromesso col fascismo (compreso quello particolarmente efferato della Repubblica di Salò), riproponiamo un articolo dello storico Gianpasquale Santomassimo pubblicato sul “Manifesto” l’11 maggio 2014 (“Omicidio Gentile, cinque obiezioni“), che costituisce un’ottima messa a punto sulla vicenda.

È singolare che di fronte a un omicidio politico apertamente e quasi orgogliosamente rivendicato dai comunisti siano sorti tanti dubbi e ipotesi stravaganti. Si parla dell’uccisione di Giovanni Gentile, eseguita da un comando dei GAP il 15 aprile 1944. Aveva cominciato Luciano Canfora nel 1985 (La sentenza, edizioni Sellerio), che però era partito da un problema reale: l’aggiunta finale di Girolamo Li Causi a un articolo di condanna di Gentile scritto da Concetto Marchesi e che poteva suonare appunto come una sentenza di morte. Poi si sono aggiunti nel tempo testi di vari autori che hanno finito per dar vita a un cospicuo filone di letteratura complottistica.

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Il socialista che non trovò mai il socialismo

La bella politica di una generazione che non c’è più

Di Giovanni Princigalli1

Nel 1964, esattamente 60 anni fa, nasceva il Partito Socialista di Unità Proletaria, il PSIUP. Fu fondato dalle due principali correnti della sinistra del PSI: quella morandiana guidata da Tullio Vecchietti e quella più piccola capeggiata da Lelio Basso. La prima era d’ispirazione marxista-leninista, la seconda s’ispirava al marxismo rivoluzionario e libertario di Rosa Luxemburg.

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Squarcio rosso

Di Lelio La Porta

Pubblichiamo la recensione di Lelio La Porta del testo “Squarcio rosso. Berlinguer, Craxi e la sinistra in pezzi”, di Giampiero Calapà (Ed. Bordeaux, 2023), la cui versione ridotta è stata pubblicata su “Il Manifesto” il 3 aprile scorso (l’articolo in questione reperibile alla seguente pagina web)

Enrico Berlinguer, del quale in questo anno ricorre il quarantesimo anniversario della morte (11 giugno 1984), fu eletto segretario del Pci al termine del XIII Congresso nel 1972 e rimase in carica fino al momento della sua drammatica scomparsa. Bettino Craxi fu nominato segretario del Psi nel luglio del 1976 dal Comitato Centrale del partito riunitosi all’Hotel Midas di Roma in seduta straordinaria in seguito all’esito in realtà non proprio esaltante delle elezioni politiche svoltesi il mese prima che avevano, al contrario, registrato un’avanzata impetuosa dei comunisti. Rimase in carica fino al 1993 e fra il 1983 e il 1987 fu Presidente del Consiglio dei Ministri. Il “duello” al quale i due diedero vita fra gli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta del secolo scorso viene ripercorso da Giampiero Calapà (Squarcio rosso. Berlinguer, Craxi e la sinistra in pezzi, prefazione di Gianluca Fiocco, Bordeaux, Roma 2023, pp. 206, €. 16,00).

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UN ANNO FA CI LASCIAVA IL NOSTRO CARISSIMO PAOLO

In vista dell’anniversario della scomparsa di Paolo Ciofi, il Comitato Direttivo di Futura Umanità, associazione fondata proprio da Ciofi alcuni anni or sono, ha deciso di organizzare, per il prossimo autunno, un convegno che ne ricordi in modo adeguato tutto l’insieme delle sue attività di dirigente politico, di intellettuale, di organizzatore di cultura, di economista, di amministratore, insomma di persona impegnata sui vari fronti delle vita pubblica nel nostro paese. In un momento storico così gravido di pericoli come quello in cui stiamo vivendo questa iniziativa ci sembra particolarmente importante e significativa. Essa infatti rimanda anzitutto a una concezione alta della politica, intesa come attività nobile, diretta alla emancipazione e alla liberazione delle persone, a qualunque nazionalità o sesso appartengano, senza discriminazioni e senza confini, ma proprio in quanto persone inserite in società ancora attraversate da differenze di classe, di origine etnica, di genere. In questo contesto Ciofi ha sempre proposto e valorizzato l’esperienza del socialismo italiano, o meglio del comunismo, visto nella sua linea di sviluppo storico, da Gramsci a Togliatti fino a Berlinguer, senza escludere oviamente personaggi come Luigi Longo, Natta o Nilde Iotti. Da qui discendeva il giudizio negativo sulla cosidetta “svolta” promossa da Occhetto per sciogliere il Pci, fatto che ha privato l’Italia di una vera sinistra democratica, pacifista, antifascista, popolare e di massa, legata alla classe operaia e al mondo del lavoro in genere. Da qui  la conseguente necesità di promuovere non il ricordo in senso nostalgico del termine, ma lo studio e la riflessione su quello che veramente è stato il Partito Comunista Italiano, cercando di recuperare la parte più significativa ed attuale del messaggio e della cultura politica dei comunisti italiani stessi. Tra tutti questi temi certamente spiccano quelli della pace e del disarmo, argomenti sui quali in particolare Berlinguer, ma non solo lui tra i dirigenti comunisti, si è cimentato coerentemente a lungo e in molti modi, dalla promozione di grandi manifestazioni di massa contro varie forme di riarmo fino a diverse concrete proposte per eliminare, o almeno cominciare a eliminare, le armi atomiche, per arrivare finalmente a cancellare la guerra dalla faccia di questo nostro martoriato pianeta. Ciofi ha raccolto molto di questa eredità, che solo in parte io ho ricordato, per farne oggetto non solo di analisi, ma anche di lotta politica attuale, nella convinzione che senza storia e senza memoria, criticamente assunte, sfugge anche il significato del presente, la cui comprensione è decisiva per poterlo cambiare nel senso della democrazia e del socialismo, obiettivi che mantengono intattti la loro attualità di fronte all’evidente e sempre più drammatico fallimento del capitalismo. Il convegno, al quale parteciperanno tra gli  altri  personaggi come Alessandro Hobel, Vladimiro Giacchè, Sandro Morelli e Michele Prospero, tratterà dei temi sopra menzionati e ovviamente anche di molto altro, perchè c’è ancora un grande bisogno delle idee e delle proposte che Ciofi ha cercato di far vivere: un “altro” socialismo, un socialismo sempre più necessario se non vogliamo che prevalga la barbarie della guerra, della sopraffazione, della catastrofe ambientale.

Corrado Morgia 

La scuola, la storia, il sacrificio: Pilo Albertelli dal liceo al martirio

Di Lelio La Porta

Il 24 marzo per i romani, ma non solo, è un giorno particolare legato alla memoria di uno dei momenti più drammatici della nostra lotta di Liberazione dal nazifascismo di cui quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario. 335 massacrati alle Fosse Ardeatine, «la strage simbolo della Resistenza italiana» (M. Avagliano, M. Palmieri, Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine. Le storie delle 335 vittime dell’eccidio simbolo della Resistenza, Einaudi, Torino, 2024, p. XXV), come rappresaglia per l’azione di guerra compiuta il 23 marzo a via Rasella nel corso della quale morirono 32 militari nazisti (il trentatreesimo spirerà dopo il ricovero). Periscono anche due civili (Pietro Zuccheretti, 12 anni, e Antonio Chiaretti, 48 anni). Contrariamente a quanto sostenuto dall’attuale Presidente del Senato, i nazisti, non essendo “una banda musicale di semi pensionati e non nazisti delle SS”, non diedero vita ad un concerto all’aperto ma iniziarono a sparare in tutte le direzioni (i fori dei proiettili sono ancora oggi ben visibili sui muri delle abitazioni fra via Rasella e via del Boccaccio) uccidendo 5 persone fra le quali Erminio Rossetti, di 20 anni, milite portuario del reparto speciale Ettore Muti e autista del questore Pino Caruso, che si adopererà attivamente per stilare una lista da aggiungere a quella già redatta da Kappler con i nominativi di quanti saranno assassinati alle Ardeatine. Vengono rastrellate sul posto 250 persone e allineate davanti palazzo Barberini. Quello che avvenne dopo non viene ripercorso in questa sede. La bibliografia è sterminata anche se corre l’obbligo di rammentare almeno un titolo, ossia Alessandro Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli, Roma, 1999. Va ricordato che lo stesso Kesselring, testimoniando il 16 novembre 1946 al processo contro i generali Von Mackensen e Maltzer, ammise che nessuna procedura fu attivata prima della rappresaglia per rivolgere un appello alla popolazione o agli attentatori e nessuna richiesta di consegnarsi fu presentata ai partigiani. La rappresaglia finalizzata all’eliminazione di massa faceva parte del sistema di occupazione nazista, partecipato dai fascisti della Rsi. Qui l’ormai anziano studente del “Liceo-Ginnasio Pilo Albertelli” vuole richiamare alla memoria il profilo di colui che fu una delle vittime del massacro e quello di un suo allievo di cui soprattutto i giovani sanno poco.

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