di Guido Liguori 18 marzo 2021
Centocinquanta anni fa veniva proclamata la Comune di Parigi. Durò solo due mesi o poco più. Ma destò entusiasmi e timori destinati a durare decenni. Marx capì subito che non aveva molte possibilità di durare, ma seguì con grande partecipazione quel primo tentativo di potere proletario registrato dalla storia moderna. Forse ne amplificò un po’ la portata e l’esemplarietà, ma nelle successive prefazioni a “La guerra civile in Francia” Engels puntigliosamente cercò di dimostrare come i fatti e la lettura di Marx non differissero molto. Rivendicò il carattere socialista di tutti i provvedimenti del governo rivoluzionario di Parigi, rimproverandogli solo di non essere intervenuto sulla Banca centrale. Quali gli insegnamenti teorico-politici della Comune? La lotta allo Stato come entità separata dalla società. E Stato significava allora in primis esercito e polizia, sostituiti dal popolo in armi e da incarichi a rotazione. Ma soprattutto: gli elettori possono sfiduciare in qualsiasi momento il loro eletto e i parlamentari non devono avere più di un salario operaio. Ciò serve davvero a estendere il controllo sociale sulle istituzioni e sullo Stato. Va superata inoltre la divisione dei poteri: gli eletti fanno le leggi e le applicano. Se quest’ultimo punto non mi convince (le repliche della storia sono state molto dure), l’indicazione del tendenziale superamento della democrazia liberale-parlamentare (il parlamento specchio del paese, che nei 4 o 5 anni in carica lo rappresenta qualsiasi cosa faccia o vi accada) mi sembra sempre più attuale e auspicabile. Certo, se si va avanti verso la democrazia comunarda o consiliarista, non se si torna indietro verso un plebiscitarismo bonapartista.
