Care compagne, cari compagni. Tredici storie di militanza nel P.C.I.

Nino

Concetto Vecchio da Repubblica del 10 novembre 2020

Cos’è stato il Pci, di cui a gennaio ricorrono i cento anni? Un partito di massa, popolare, nel quale militavano gli operai e gli intellettuali, i giovani e la generazione che aveva fatto la Resistenza. C’è stato un momento, a metà degli anni Settanta, nel quale un italiano su tre votava comunista. Un unicum in Europa. Le città più ricche, da Torino a Roma, da Bologna a Firenze, erano governate da sindaci rossi. Un libro ora racconta le vicende di tredici comunisti italiani, uomini e donne in carne e ossa, per provare a dare conto di questo mondo grande: Care compagne e cari compagni , edito da Strisciarossa, con le vignette di Ellekappa e Staino.

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Ricordando Palmiro Togliatti nel 54° anniversario della scomparsa, con uno sguardo al presente.

Schermata 2018-09-19 alle 17.37.25Agosto è il mese, per i più, delle ferie e del riposo. È un mese di duro lavoro nei campi, di crimini del caporalato, di migrazioni, d’incendi e alluvioni, di mare inquinato. In più quest’anno, sconvolto dalla tragedia di Genova. A me capita di riprendere nelle mani gli scritti e i discorsi di Palmiro Togliatti che proprio ad agosto (21-08-1964) cessava di vivere. È l’occasione per viaggiare nella storia guardando al presente. Si sommano domande assurde tipo cosa avrebbe detto o fatto Togliatti oggi? Anche se si è consapevoli che il mondo in cui il leader del PCI è vissuto e ha operato con il pensiero e la politica non esiste più. Il mondo è cambiato, ma a veder bene anche durante la sua vita il mondo è mutato più di una volta.

Il “mondo mutevole” in cui è vissuto Togliatti è stato caratterizzato dal massacro della prima guerra mondiale, dalla rivoluzione russa, dall’affermazione e sconfitta del fascismo, dall’alleanza internazionale antifascista che ha sconfitto il nazismo, dalla guerra fredda, dai movimenti di liberazione nazionale, dalla rivoluzione cinese, dalla destalinizzazione e crisi del mondo comunista, dall’avvio del dialogo con papa Giovanni XXIII, dal dominio democristiano in Italia fino al primo centro-sinistra. La mia attenzione però è andata agli anni del fascismo. Continua a leggere “Ricordando Palmiro Togliatti nel 54° anniversario della scomparsa, con uno sguardo al presente.”

La concezione marxista del partito della classe operaia | P. Togliatti

In occasione del 125° anniversario della nascita di Palmiro Togliatti, pubblichiamo un suo intervento su “La concezione marxista del partito della classe operaia”, che tenne a una sessione di Comitato centrale e Commissione centrale di controllo del Partito comunista italiano nel dicembre 1963, pochi mesi prima, dunque, della sua scomparsa.

 

E’ stato presentato a questa riunione un ampio documento, frutto di una elaborazione assai lunga, cui hanno partecipato molti compagni. A questo documento sono state fatte parecchie osservazioni critiche. Sarà compito di tutta l’assemblea e in particolare del relatore valutarle e , credo, di un’apposita commissione tenerle in giusto conto per la redazione definitiva di un testo sul quale si aprirà il dibattito nel partito. Non intendo, ora, entrare nel merito di queste osservazioni critiche, ma soltanto dire poche parole su alcuni temi di origine generale, circa la nostra concezione del partito politico della classe operaia e, alla fine, sul modo di porre, oggi, la questione dell’unità politica tra differenti partiti, che si richiamino e alla classe operaia e ai principi del socialismo.

Il Partito comunista e il nuovo Stato | Palmiro Togliatti

In occasione dell’anniversario della fondazione del Pci (21 gennaio 1921), pubblichiamo uno scritto di Palmiro Togliatti

Ringrazio gli organizzatori di questo corso per avermi dato la possibilità di intervenire in questa ultima lezione, e ringrazio anche per il tema che mi hanno assegnato, chiedendomi di parlare delle nostre posizioni, come Partito comunista, rispetto al Nuovo Stato. Li ringrazio perchè il tema per noi e per il nostro paese è stato ed è di grande importanza , ed anche per il fatto che a questo proposito alle volte si sentono ancora circolare giudizi non precisamente esatti (Continua…)

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“Nella Resistenza romana” di Alfredo Reichlin

Intervento pronunciato al convegno della Igs Italia «Valentino Gerratana “filosofo democratico”» (Roma, 18-19 novembre 2010), ora in Valentino Gerratana “filosofo democratico”, a cura di E. Forenza e G. Liguori, Roma, Carocci, 2011.

 

Ricordo il giorno in cui incontrai Valentino Gerratana. Era l’inverno del 1944 nella Roma occupata dai tedeschi. L’appuntamento era in una piccola trattoria vicino Piazza Fiume. Mi è rimasto impresso il suo volto: magrissimo, con la barba nera mal rasata che rendeva i suoi occhi più tristi e severi. Poche parole e lunghi silenzi. Luigi Pintor e io eravamo ragazzi. Avevamo preso la licenza liceale solo pochi mesi prima. Era lì che qualcuno ci aveva detto che avremmo potuto incontrare l’uomo del “centro”, questa parola pronunciata a bassa voce e con enorme circospezione che indicava il Comando segreto dei comunisti.

Guardando quell’uomo che mi sembrava senza età pensai: finalmente si fa sul serio. Valentino corrispondeva infatti perfettamente all’immagine che mi ero fatta di un capo comunista: un uomo i cui ordini non erano discutibili. Di cui ci si poteva fidare. Che poteva dirci dove e come cominciare a sparare. E così fu. Qualcuno – credo Lucio Lombardo Radice – aveva garantito per noi tre (Luigi Pintor, Arminio Savioli e io) come nuovi e affidabili possibili “gappisti”. Così, formammo una cellula, cioè quell’unità combattente di base che per le ragioni della sicurezza clandestina poteva avere rapporti con l’insieme della rete solo attraverso una persona. Quella persona era Valentino Gerratana, nome di battaglia “Santo”. Il nostro compito era “rendere la vita impossibile all’occupante”: queste furono le direttive generali che ricevemmo da “Santo” quel giorno.

In quei mesi febbrili e sconvolgenti (per me almeno) io lo rividi – stando ai miei ricordi – forse solo un’altra volta. Poi in una stupenda giornata di sole in una Roma chiassosa e volgare piena di prostitute e di borsari neri, con le strade percorse da traballanti camioncini pieni di gente e dalle camionette americane, lo rincontrai. Eravamo stati convocati dal Partito (entità per me ancora misteriosa) in un grande caseggiato di ferrovieri in viale Regina Margherita, dove abitava uno di noi. Per conoscerci e per festeggiare. È lì che vidi per la prima volta le facce di quei venti giovani sconosciuti che avevano colpito duramente la guarnigione tedesca di Roma, fino all’attentato di via Rasella, e l’avevano costretta sulla difensiva fino a fissare il coprifuoco alle cinque del pomeriggio. Eravamo i componenti del famoso Gap centrale. Un pugno di giovani intellettuali, parecchi dei quali diventeranno poi famosi: Salinari, Calamandrei, Gerratana, Trombadori, Bentivegna, Carla Capponi e altri e altre. Tra costoro c’era anche Marisa Musu, che diventò la prima moglie di Gerratana. Scarsissima la presenza di proletari.

Quei giovani non venivano da Mosca o dall’esilio, ma dalle scuole e dalle università italiane, e ciò che li animava non erano tanto i testi del comunismo (che avremmo letto dopo), ma uno strano impasto ideale e culturale che non si riduceva al mito sovietico e che si era formato negli anni ’30. Era nato in quegli anni un sentimento nuovo, l’antifascismo, che ripensava la grande tradizione democratica dello storicismo italiano e al tempo stesso si mescolava con le esperienze più moderne del Novecento europeo. Dopo il grande cinismo da straniero in patria alla Prezzolini e l’edonismo dannunziano, nasceva una cultura che si chiamò dell’impegno e le cui tracce erano visibili perfino nell’attualismo “gentiliano”. Il mito sovietico contava naturalmente. Ma se quegli anni ’30 furono così importanti è perché vi successe di tutto: l’avvento dei fascismi e gli spettacolari trionfi della pianificazione sovietica, la guerra di Spagna e le prime esperienze socialdemocratiche. Insomma, quell’insieme di cose che avevano alimentato la cosiddetta “guerra civile europea”. È in quegli anni e in quella temperie che le avanguardie giovanili scoprirono il famoso impegno. Così fu anche per Valentino.
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I primi mesi di vita del Pcd’I e un (presunto) piano per l’insurrezione.

La ricerca di G. Palazzolo sull’informatore del prefetto di Torino

Recensione di Alexander Höbel

Guglielmo Palazzolo si definisce “un vecchio militante del Pci” (prese la prima tessera nel 1963), per il quale è stato sindaco di Scicli, consigliere provinciale e presidente del Comitato federale di Ragusa. A lungo professore di Italiano e storia e per 24 anni preside, si era laureato a Roma nel 1966 con Renzo De Felice, con una tesi su L’organizzazione di base dei comunisti italiani nel 1921-22 (oggi consultabile presso il Centro studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa o presso la Fondazione Gramsci di Roma), da cui trasse un saggio per la “Rivista storica del socialismo” di Luigi Cortesi e Stefano Merli, pubblicato nello stesso anno (L’apparato illegale del Partito comunista d’Italia nel 1921-1922 e la lotta contro il fascismo, 1966, n. 29).
A distanza di cinquant’anni, come un investigatore al quale non tutti i conti tornavano, Palazzolo è “tornato sul luogo del delitto” e, riprendendo la sua ricerca giovanile, con l’ausilio della Fondazione Gramsci (e in particolare del neo-direttore Francesco Giasi, di una ricercatrice esperta e accurata come Maria Luisa Righi e dell’attentissimo Alessandro Larussa), ha per certi versi concluso il lavoro del ’66, offrendo alla ricerca e al dibattito storiografico sui primi anni di vita del Pci (allora Partito comunista d’Italia) una ipotesi interessante, condensata in un opuscolo disponibile anche on line [G. Palazzolo, Il dirigente del Pcd’I informatore del senatore Taddei (prefetto di Torino), Youcanprint 2016]. Continua a leggere “I primi mesi di vita del Pcd’I e un (presunto) piano per l’insurrezione.”