Anna Elisa De Santis

In ricordo di Paolo Ciofi

Paolo ci ha lasciati. È difficile anche solo pensarlo.

Paolo Ciofi. Paolo Ciofi, il nome una cosa sola con il cognome, importante, spesso di storia, antica e contemporanea, che affiorava nell’unicità della sua persona. Non rinunciava mai a dire quello che pensava, cercando con cura la chiarezza del pensiero, nel rispetto profondo delle parole. Colpiva la sua onestà morale e culturale, la tenacia nella difesa del lavoro, la distanza dai luoghi comuni.Di lui, ho molto preciso il ricordo della fiducia nella generazione dei giovani, alla quale appartenevo. Una fiducia aperta, che non gli impediva di guardarla con garbo un po’ sornione, quella magmatica presenza di ragazze e ragazzi che dilagavano nel lungo sessantotto italiano, scardinando miti, certezze musicali e d’altro.

Paolo, giovane anche lui, eppure incluso, già allora, tra coloro che la saggezza segna come anziani e agli altri sanno prestare, discreti, l’orecchio e la disponibilità a discutere, polemizzare.Dissonante dal tempo che ne scandiva l’età, così era Paolo. Quando il calendario gli consegnò numeri più alti da gestire, sorprese molti con l’avvio di una presenza politica incandescente.Spostò il disagio per le politiche inadeguate della sinistra, dal mormorio dei caffè alle stanze della ricerca, dalle quali non smise mai di guardare oltre. Di cercare, con occhi svegli, la piazza in cui la protesta potesse diventare partecipazione, democratica e non antagonista agli ideali di giustizia sociale e democrazia.

Studioso di Marx e del marxismo, era, la sua, una fatica di analisi costante attorno all’idea che lo impegnava, quella del comunismo nel rapporto con la democrazia e la globalità del presente, nell’urgenza del pianeta inquinato. Ragionava, con acutezza, sul socialismo contemporaneo, sull’esperienza europea. In questo suo indagare, scavare, di cui è traccia nei libri prodotti, ha avviato una critica al capitalismo che è parte alta della più attuale ricerca internazionale, economica e sociale.

Era romano, quindi ironico, ma non cedeva alla tentazione di ironizzare per scansare le pieghe difficili della realtà, quelle che sfuggivano agli ordinari strumenti di lettura politica. Così era stato anche nei difficili anni 70. Lui, dirigente regionale del PCI, seppe entrare, con passo diverso, nel profondo delle periferie. Erano quelle della Roma di pasoliniana e ancora oggi vivida memoria. Erano le zone interne, oppure costiere, del Lazio mortificato dai parassitismi economici, immobile, sopraffatto dai pregiudizi e dall’arretratezza culturale, sorpreso dal messaggio giovanneo e dalla tensione laica di Paolo VI. Una regione persa nella separazione abissale tra la cultura e le classi meno abbienti. La distanza tra il centro della metropoli e i territori poveri, la Maremma, i Lepini, fino ai pescatori sparsi e fragili di Sperlonga. Tra quei sassi di terra e di mare si incunearono, contrastati, la scuola media unica e l’accesso generalizzato alle superiori, dove nascevano nuovi tipi di operai, malvezzi all’autoritarismo delle fabbriche.

La sua si definì, nei fatti, come una missione dal profilo spirituale laico per affermare i principi e i contenuti della dignità umana, che era, nello stesso periodo, oggetto di una nuova, problematica predicazione della Chiesa stupita di sé, della parola del Concilio Vaticano II e della modernità diversa di Paolo VI. La battaglia per il divorzio, prima, e, dopo, la decisa presa di coscienza del PCI sull’aborto, trovarono un Paolo Ciofi dirigente politico sostenere nel Lazio, in prima persona, la lotta per i diritti civili. Agì abilmente e convintamente, con sensibilità organizzativa e ideale, fino alle vittorie referendarie.

Non era solo, Paolo, allora. Erano i tempi di Enrico Berlinguer, così diverso anche lui dai luoghi comuni. Così in sintonia, erano, i due, nella corale impresa di rispondere all’urgenza di cambiamento, crescente nel Paese tra gli studenti, tra le donne, tra i lavoratori. Fu un’onda, quella che venne originata dalle profondità dei territori, straordinaria e senza media a sostenerla, che coinvolse strati ampi della cultura e del lavoro, selezionò nel PCI dirigenti giovani, donne. Cambiò la composizione delle istituzioni, anche attraverso il voto ai diciottenni, seppur limitata all’attribuzione del solo elettorato attivo, fatto questo che trovò la decisa contrarietà di Paolo. Egli sostenne, con insistenza lucida, la pienezza dell’elettorato ai giovani, attivo e passivo. Era lungimirante, Paolo Ciofi. Si sarebbero comprese solo più tardi le conseguenze di quella scelta limitata, che indebolì il progetto di cambiamento nel dato parlamentare nazionale, con incidenza diretta sulla costruzione del Lazio libero dalla preminenza, pervasiva, di interessi potenti e potentati economici.

La legislazione regionale, si stagliò nell’esperienza politica dell’epoca, come laboratorio di una partecipazione inedita che aprì, tra l’altro, alle norme sui consultori per le donne, alla sanità territoriale e non per censo, alla riorganizzazione urbanistica, alla promozione della cultura, diffusa e senza lacci a frenarla, che generosa portò la gioia della festa e del sapere fino agli angoli meno noti del territorio laziale, riconosciuti nella loro dignità civica. Quello fu il crinale politico, ragionato, puntuale sulle cose da fare, da cui venne respinto, nella direzione politica del Lazio animata da Paolo Ciofi, il tentativo eversivo della destra neofascista e contrastato l’estremismo a sinistra, denso di pericoli per la democrazia. L’antifascismo, la costituzione, sono stati i riferimenti saldi di un uomo politico di rara levatura, di appassionata presenza politica e istituzionale.

Negli anni a seguire da quelli ormai lontani della prima attuazione regionale, oggi confusi nella luce opaca degli anni di piombo, Paolo ha continuato a discutere, ragionare, con i giovani di allora e con quelli di oggi, senza riserve. Non ha mai smesso di intessere, attorno alla sostanza della Costituzione, una fine, estesa ricerca ed un intenso impegno, per affrontare i nodi attuali del capitalismo. Parlano, i suoi studi, dei limiti e dell’inadeguatezza del capitalismo rispetto ai temi del presente e all’urgenza di valore della dignità umana, compromessa da scelte troppo gravi per non essere definite stolte, prima fra tutte quella ambientale. Su di essa Paolo ha concentrato molto del suo studio, cercando un nuovo equilibrio teorico e politico proprio a partire dalla questione ambientale, così problematica nella visione tradizionale del pensiero comunista e socialista. In questo intenso lavoro politico e istituzionale, Paolo ha agito, senza incertezze, nel rispetto della distinzione costituzionale, netta, tra partito e stato. Anche per questo, ha dato un contributo attualissimo alla storia della vita pubblica di Roma.

Di modi semplici, egli ha basato sull’onestà e sul limpido agire la sua condotta, sia da dirigente politico che da uomo delle istituzioni pubbliche, nella Regione, nel Parlamento come Deputato. Averlo avuto come dirigente nella formazione personale e politica, aver potuto mantenere con lui un dialogo ininterrotto, è stato bellissimo. La convinzione negli ideali di libertà e di giustizia sociale, ha travalicato gli anni, le distanze, la diversità dei percorsi.

Fino ad oggi che sono qui, per ringraziarlo, carissimo Paolo, di quello che ci ha dato, di quello che è stato.

Anna Elisa De Santis


Anna Elisa De SantisDirigente della Federazione Giovanile Comunista Italiana negli anni ’70, nel Comitato centrale e nel Comitato regionale del Lazio, segretaria della Federazione di Frosinone della FGCIConsigliera comunale del PCI a Ceccano (Frosinone) dal 1975 al 1980, nel Comitato regionale del PCI del Lazio nel 1989. Ambientalista, ha fatto parte di Legambiente fin dalla sua fondazione come Lega per l’ambiente, ArciNella prima metà degli anni 90 ha sostenuto il movimento politico dei VerdiHa esercitato la professione di avvocato, ha insegnato Legislazione sanitaria presso la Scuola di Specializzazione in Igiene e medicina preventiva dell’Università La Sapienza, Facoltà di Medicina e Chirurgia. Scrive poesie, racconti.