L’ultima telefonata
Caro Paolo,
da quando hai voluto andartene altrove mi torna in mente, con sorprendente frequenza, la nostra ultima telefonata. Mi avevi chiamato tu, come quasi sempre accadeva a causa della mia scarsa propensione per la comunicazione telefonica. Lo strumento-telefono mi inibisce il linguaggio: mi esprimo con povertà di lessico e per frasi fatte, con effetti sgradevoli a me stesso se do ascolto a ciò che dico. È stato così anche in quella occasione. Sapevo che stavi male, già da tempo; eppure ho esordito con la rituale e banale domanda: “come stai?”. Mi hai risposto: “sto male, ma va be’ …” e sei subito passato ad altro. Ti ho sentito stanco, molto stanco e con voce flebile. Ci siamo detti poche parole, promettendoci comunque a vicenda di risentirci a breve per scambiarci opinioni sulla situazione politica, proprio come richiedeva la nostra consolidata prassi telefonica. Perché, negli anni e nelle tante e tante telefonate nostre, qualunque fosse il motivo preminente della chiamata, non è mai mancata una tua riflessione sull’attualità politica: a volte un rapido pensiero, più spesso un’argomentazione o un ragionamento. Sempre con la volontà e la capacità di sollecitare nell’interlocutore uno sguardo critico, onde evitare valutazioni e risposte superficiali. Un costume intellettuale rigoroso ed esigente, il tuo, che ti portava a contrastare qualsiasi banalizzazione, soprattutto quando (e accadeva quasi sempre) il discorso riguardava le vicende e le sorti della sinistra: lì scattava la critica, acuta e talora sferzante, ma sempre accompagnata da un’attenzione costante a novità potenzialmente foriere di nuovi e positivi sviluppi. Questo intreccio tra pessimismo critico e fiducia nel cambiamento è una possibile cifra interpretativa del tuo pensiero.
Ma nulla di tutto questo in quell’ultima telefonata, di cui mi accompagna e continuerà ad accompagnarmi l’eco dolorosa dell’ultimo saluto, con quell’estremo tuo riferimento alla nostra associazione, Futura Umanità. E chissà se non sarà proprio una futura umanità il luogo in cui prima o poi ci ritroveremo. Magari in una piazza grande, grandissima, con tante, tantissime bandiere rosse e i canti del lavoro e della Resistenza. L’altrove che insieme abbiamo desiderato e dove, caro compagno Paolo, hai voluto precederci.
Gennaro Lopez