UN COMPAGNO ONESTO E SINCERO.
Ieri non sono riuscito ad andare, per motivi di salute, al funerale laico del compagno Paolo Ciofi.
La storia del compagno Ciofi (per la precisione Ciofi Degli Atti) è quella più tipica dei figli del Partito. Vorrei qui anche ricordare Luigi Ciofi Degli Atti, il quale fu Segretario della Commissione Centrale di Controllo del P.C.I. ed era considerato (definizione oggi forse semplicistica) un filosovietico tutto d’un pezzo e quindi collegato al compagno Cossutta.
Per tornare a Paolo, egli fu sempre impegnato nel Partito ma i compiti più difficili ed importanti gli toccarono intorno agli anni ‘70 quando fu prima Segretario regionale del Lazio e poi della federazione romana, intrecciando i suoi incarichi con quelli del compagno Petroselli.
Oggi si ricorda che quei tempi furono complessi ed anche molto tesi ma spesso sfugge uno dei problemi che più di altri attanagliarono l’opera del compagno Ciofi e di altri dirigenti del Partito dell’epoca: proprio per la grande avanzata del P.C.I. – la quale ci vide improvvisamente catapultati all’amministrazione delle circoscrizioni e del comune di Roma, della sua provincia, della regione Lazio – il Partito rimase sguarnito di quadri dirigenti. Molti di noi ricordano, affettuosamente, la particolare voce stridula del compagno Ciofi ma – per onorarlo oggi come merita – occorre ricordare come riuscì (in stretto collegamento con Petroselli) a dirigere il Partito in quelle condizioni inedite e a promuovere tanti quadri dirigenti nuovi e giovani (anche se poi qualcuno è cresciuto molto storto!).
Sempre per fornire un tassello di cosa fossero quegli anni, ricorderò un episodio noto praticamente solo alla Vigilanza e a pochissimi altri. Una mattina ci colse in federazione la notizia che il figlio del compagno Ciofi, un ragazzino, non era giunto a scuola, pur essendo uscito da casa poco prima con tale destinazione: erano i tempi in cui fu sequestrato, per esempio, Guido De Martino, giovane dirigente napoletano del PSI e figlio del segretario di quel partito.
Lascio immaginare come reagimmo a tale notizia e ancora ricordo la mia trepidazione pensando a cosa potesse provare il compagno Ciofi in quei momenti, nonostante mostrasse fermezza e dignità come è dovere di ogni dirigente comunista. Per fortuna il ragazzo aveva solo sbagliato fermata del tram e tutto si risolse presto ma questo ricordo permette di comprendere meglio quei tempi.
Il compagno Ciofi – come già detto da molti – ha sempre mantenuto quella fermezza e quella dignità di un tempo, rifiutando di legittimare in qualsiasi modo il tradimento del Partito, fino a sentire il bisogno (come tante e tanti altri di noi) di garantire che alle generazioni nuove o future non sia nascosto l’irrinunciabile bagaglio di esperienze, valori e principi costituiti dalla storia del P.C.I. senza i quali non ci potrà essere rilancio della lotta di classe e del movimento operaio nel nostro paese.
Per questo gli va anche riconosciuto il merito di aver fondato l’Associazione Futura Umanità, la quale ha svolto un ruolo significativo.
Nel ribadire il mio cordoglio ai suoi cari e l’incondizionato rispetto per la sua memoria, colgo l’occasione per suggerire di riflettere meglio, in futuro, su una questione che scaturisce dalla storia di molti eminenti compagni come lui: come mai non si è riusciti a controllare e superare certe spinte revisionistiche nel Partito, consentendo così poi ai liquidatori di scioglierlo e perché – a un certo punto – si è abbandonata la trincea della discriminante morale (riguardante il costume e lo stile di lavoro nel Partito) lasciando troppi spazi ai carrieristi, all’individualismo e dunque all’opportunismo e alla corruzione politica.