Togliatti, la “via italiana”, le donne: l’emancipazionismo di tipo nuovo (1)

di Fiamma Lussana

Dopo quasi vent’anni trascorsi a Mosca, in Svizzera e a Parigi, Togliatti sbarca a Napoli il 27 marzo 1944. La Napoli che appare al suo sguardo è una città duramente colpita dalla guerra, dove si fatica a vivere. Martoriata dalla guerra, bombardata, disperata, Napoli impreca contro la monarchia, maledice il fascismo. Ma è anche la città fiera delle “Quattro giornate” che, solo sei mesi prima dell’arrivo di Togliatti, è insorta spontaneamente contro l’occupante tedesco: il popolo, le donne di Napoli sanno lottare per vivere, per tirare a campare, ma sanno anche armarsi di spranghe e fucili contro una guerra che non hanno voluto.

L’obiettivo di Togliatti non è solo costruire il “partito nuovo”, è pensare l’Italia da ricostruire. E le donne italiane, quelle che si arrangiano a cucinare col carbone in case buie e fredde dove non c’è mai cibo abbastanza, sono un pezzo importante dell’Italia nuova che il leader del Pci vuole ridisegnare. La “bomba Ercoli” sta per deflagrare. La nuova linea del partito viene esposta da Togliatti al Consiglio nazionale del Pci, che inizia il 30 marzo. Lasciare per ora il re e Badoglio al loro posto, formare un governo di unità nazionale con tutti i partiti antifascisti, liberare l’Italia: questa è la “svolta di Salerno”, in armonia con la scelta di Mosca di riconoscere il governo Badoglio.

Il Pci deve diventare il partito di tutti, dei disoccupati, degli intellettuali, dei “ceti intermedi”, delle donne. Bisogna abbattere la barriera che è stata innalzata fra il partito e la gente. E Togliatti sa che a Napoli come nel resto del paese, il “popolo” in fila per il pane, il “popolo” della borsa nera che ogni giorno fa i salti mortali per mettere insieme il pranzo con la cena, sono le donne. La guerra che uccide con le armi la fanno gli uomini; la guerra quotidiana per vivere, al Nord come al Sud, sotto le bombe, nell’inferno delle città senza luce, senza pane e senza carbone la fanno le donne. Metà di quel popolo che per vent’anni ha dovuto tacere, sopportare, subire, sono donne. Una volta vinta la battaglia per l’estensione del diritto di voto, le donne saranno il cinquantatré per cento dell’elettorato attivo. Il Pci ha bisogno delle donne.

Motivo centrale della strategia di Togliatti verso le donne, che diventerà un tema martellante, sia nelle riunioni di partito, sia durante i suoi numerosi discorsi pubblici sui temi femminili, e che, vivacemente contrastato all’interno del gruppo dirigente, sarà alla fine bocciato dalla maggioranza dei membri della Direzione, è il tema del separatismo fra i sessi. Per il leader del Pci dovranno nascere nel partito dei gruppi o cellule di sole donne, staccati da quelli maschili, il cui principale obiettivo sarà lo studio specifico dei problemi femminili. Ciò darà alle donne la possibilità di esprimersi più liberamente e, come precisa la circolare alle Federazioni del luglio 1944, di riunirsi “nelle ore più adatte a loro”.(2)

Nel nostro paese, precisa ancora la circolare, il ruolo sociale delle donne è ancora legato prevalentemente alla famiglia e al marito, da cui quasi sempre dipendono economicamente. Le donne di casa sono inoltre attaccate alle “credenze religiose e professano il culto”.(3) Con De Gasperi, segretario della Dc e fautore con il leader del Pci dell’acquisizione da parte delle donne italiane del diritto pieno di cittadinanza, Togliatti condivide l’idea che fra le donne italiane c’è ancora “disinteresse” per la politica e una “profonda ignoranza” che le rende il più delle volte manovrabili, inconsapevoli. Per diventare davvero cittadine, le donne dovranno fare politica con le donne. E avranno luoghi di incontro e di discussione separati da quelli dei compagni di partito. Proprio quando, con la “svolta di Salerno”, Togliatti vuole abbattere il muro fra il partito e la gente, la sua strategia “separatista” ne alza un altro: quello fra donne e uomini.

Il primo passo per cambiare la vita delle masse femminili è per Togliatti distinguere, dentro al partito e fuori, il modo di fare politica delle donne e degli uomini. Bisogna inoltre interrogarsi sulle distorsioni e le contraddizioni che hanno storicamente determinato la disparità fra i sessi. All’origine della soggezione femminile e di tutti i problemi ad essa connessi c’è per Togliatti una causa economica, materiale, oggettiva: le donne sono oppresse, discriminate, disuguali per i rapporti semifeudali che regolano la vita nelle campagne e che sono alla base del sistema patriarcale della famiglia italiana. La causa principale della disuguaglianza fra uomini e donne è dunque l’arretratezza del sistema produttivo. Per Togliatti, come per la gran parte del gruppo dirigente del partito, l’emancipazione femminile è un obiettivo strategico che si raggiungerà in modo progressivo traghettando il “partito nuovo” verso la costruzione di una società socialista. Partecipando al governo sulla base di una solida unità delle masse popolari, il Pci darà il suo fondamentale contributo per ricostruire il paese e porrà le basi per cambiare i modi e i rapporti di produzione nell’auspicata transizione al socialismo. Nell’emergenza del dopoguerra, con un paese da riscostruire, non c’è spazio per i temi e problemi che riguardano la sfera soggettiva e le libertà individuali che, semmai, si potranno porre in seguito, rinviandoli alla fatidica “ora x” del socialismo realizzato. Pane, uguaglianza, diritto di cittadinanza sono gli obiettivi immediati: il resto verrà dopo.

Partito “nuovo” vuol dire partito del popolo e Togliatti è convinto che “il popolo si trova prima di tutto in casa, dove sono le donne che danno l’impronta alla vita familiare”. Il popolo che sa sopportare le angustie della guerra, che sa far da mangiare con niente, che sa combattere, sono le donne. “Per questo abbiamo bisogno di molte donne”.(4) Dovrà nascere una grande organizzazione femminile dove ci siano tutte le donne, comuniste, socialiste, cattoliche, senza partito. Sarà un’organizzazione aperta a tutte, con proprie sedi, diverse da quelle di partito, e con un proprio gruppo dirigente nazionale. Il Comitato d’iniziativa della nascente Unione delle donne italiane si riunisce il 12 settembre 1944 definendo i principali compiti politici e organizzativi di quella che dovrà essere la prima grande associazione femminile di massa. Tre giorni dopo nascerà ufficialmente l’Unione donne italiane, nel cui Comitato d’iniziativa ci sono le donne di tutti i partiti politici ad eccezione delle democristiane che se sono già andate.(5) Come già i Gruppi di difesa della donna, l’Udi cerca fin da subito di aprirsi alle cattoliche, ma al tempo stesso opera in concorrenza con il Centro italiano femminile, nato parallelamente all’Udi, nell’autunno del ’44, da una costola dell’Azione cattolica. Sia per l’Udi che per il Cif, l’obiettivo politico principale è la conquista del diritto di voto. Gli altri compiti saranno l’assistenza ai bambini, ai partigiani, ai feriti, ai malati, l’organizzazione di scuole e nidi, la lotta al carovita. Nelle fasi di emergenza, le donne hanno un compito eroico: tappare i buchi, gestire i bisogni elementari. Dovunque c’è un’emergenza, ci sono le donne, alla politica e al governo del paese penseranno gli uomini.

Fare politica non è però solo assistenza. Fra le rivendicazioni dell’Udi ci sono una serie di richieste che, nel dopoguerra repubblicano, diventeranno altrettante “leggi per le donne”: l’accesso alle carriere, fino alla magistratura (che diventerà legge il 9 febbraio del ’63, durante il primo governo di centrosinistra); la nuova normativa sulla tutela della lavoratrice madre e il piano nazionale degli asili-nido comunali (che si tradurranno in altrettante leggi alla fine del 1971); la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (che sarà legge dello Stato alla fine del ‘77). Diventare finalmente cittadine è però il primo diritto da conquistare. Ma è anche una sfida densa di rischi. È come dire che il principio è giusto, ma le donne non sono ancora mature e dove, specialmente al Sud, il peso della Chiesa è forte, il rischio è che votino in massa per la Dc.

Il decreto legislativo luogotenenziale che estende il diritto di voto alle donne è approvato nella seduta del Consiglio dei ministri del 30 gennaio 1945 su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. Il testo del decreto, che si compone di quattro brevi articoli, contempla, come è noto, solo il voto attivo: perché le donne possano anche essere elette bisognerà attendere un altro decreto che sarà emanato poco più di un anno dopo. Il primo articolo riconosce alle donne il diritto di voto; il secondo fa riferimento alla compilazione delle liste elettorali in vista delle prossime elezioni amministrative: in ogni Comune, alle liste già esistenti, vanno aggiunte quelle femminili che “saranno tenute distinte da quelle maschili”; il terzo esclude dal voto le prostitute che operano fuori delle case chiuse, ovvero non sono cittadine italiane le donne “che esercitano il meretricio fuori dei locali autorizzati”; il quarto stabilisce che il decreto entrerà in vigore dopo la sua pubblicazione sulla “Gazzetta ufficiale”. Insomma, nell’Italia libera del ’46, le donne italiane finalmente voteranno, ma le liste femminili sono divise da quelle maschili e, fra le prostitute, solo quelle “legali” sono cittadine italiane.

Ad eccezione del quotidiano comunista “l’Unità”, che esce con un editoriale dal titolo Vittoria della democrazia, nel Sud del paese liberato dagli alleati e nel Nord occupato dai tedeschi la stampa italiana registra con distrazione o con malcelata diffidenza l’acquisizione da parte delle donne del diritto di cittadinanza. L’eccezionalità della situazione politica italiana, con un governo che cumula, in attesa di libere elezioni politiche, il potere esecutivo e legislativo, costituisce un’attenuante alla mancanza di un dibattito politico nel paese e in Parlamento. Ma giustifica solo in parte il silenzio pressoché generale sul voto alle donne. Accenti diversi ha invece la piazza. Il 10 febbraio 1945, a Roma, un grande comizio femminile riunisce le rappresentanti dei tre partiti più impegnati sul terreno dei diritti politici delle donne: Maria Cingolani della Dc, Marisa Musu del Pd’A e Rita Montagnana del Pci. È un coro unanime: le donne italiane sono diventate cittadine combattendo contro i tedeschi e i fascisti. Le cattoliche e le comuniste si sono battute con più energia per la conquista del voto attivo e passivo delle donne, ma sarà l’Udi in particolare ad attribuirsi il merito politico di tale conquista. E dietro l’Udi c’è il Pci.

Chi sono le donne nuove nell’Italia dell’immediato dopoguerra? Guardando indietro, alla storia d’Italia dell’ultimo secolo, per Togliatti è raro trovare figure di spicco come invece si trovano nella storia di altri paesi. Anche la letteratura italiana pullula di figure insignificanti o evanescenti come la “Lucia” dei Promessi sposi,o relegate in ruoli sganciati totalmente dalla realtà in cui vivono, come la fata salvifica delle favole per bambini. Le sole donne della storia del nostro paese che, per il leader del Pci, hanno avuto una personalità forte e “inconfondibile” sono state le sante, come Santa Caterina “che parlava a tu per tu” con i potenti del suo tempo, o come Santa Chiara che diede un contributo originale alla fondazione del movimento francescano, in cui Togliatti ravvisa l’“impronta comunistica”.(6) Le donne nuove cresciute durante la guerra sono le eroine del popolo, come Vittoria Nenni, figlia del leader socialista, morta ad Auschwitz nel ’43 o Irma Bandiera, partigiana bolognese, fucilata dai fascisti nell’agosto del ‘44; Il leader del Pci le addita ad esempio. Il popolo ha bisogno di eroi. Le donne hanno bisogno di figure edificanti. Togliatti fa una proposta: bisogna stampare milioni di immagini a colori di queste donne affinché le donne del popolo possano conservarle come quelle dei santi.(7)

Le donne italiane sono in grande maggioranza credenti: Togliatti è convinto che la religiosità femminile non sia di per sé un elemento negativo. Sul tema dell’uguaglianza, come insegna la storia del socialismo italiano che è nato nelle campagne dell’Emilia rossa, Vangelo e socialismo predicano le stesse cose: la religiosità non sarà dunque di ostacolo all’emancipazione delle donne né alla causa della democrazia. Il vero problema è invece la “propaganda conservatrice e reazionaria”, quella sì estranea “all’animo della donna” e “anche al vero sentimento religioso”.(8) Sul terreno della “predica”, afferma Togliatti, i cattolici sono molto più avanti perché “hanno altre forme di organizzazione e altri modi di avvicinare le donne che noi non abbiamo […] per esempio, la messa” che “è in parte un comizio”. E qui i cattolici hanno “un contatto […] con la massa elettorale femminile che noi non abbiamo”.(9)

In vista delle elezioni amministrative e politiche, le prime a cui le donne voteranno, la stampa interna del Pci diventa martellante sui temi della propaganda femminile. Come si fa a conquistare le donne? Nell’estate del ’45 viene lanciata la “Settimana della compagna”, specificamente dedicata al reclutamento delle donne.(10) Una circolare inviata alle commissioni femminili delle Federazioni fornisce dettagli organizzativi e suggerisce alcune idee per rendere la “Settimana” un vero evento nazionalpopolare: uno o più cinematografi dovranno proiettare delle “belle pellicole”, ma solo gli uomini pagheranno il biglietto, alle “compagne” lo pagherà il partito; il banco di beneficienza, come la pesca delle feste parrocchiali, esporrà scarpe, vestiti, stufette elettriche, libri e quaderni per bambini, ma anche polli, uova e, se ci si riesce, un maiale.(11) Non devono mancare iniziative per i bambini come recite, gare, distribuzione di libri e giocattoli, giostre, baracconi, tiro a segno e burattini, che renderanno la festa davvero popolare. Il comizio di chiusura, con la vendita della stampa, la musica del Pci e i cori dei compagni, creeranno un’atmosfera di entusiasmo. Le donne si conquistano con il linguaggio della gente comune, non parlando di marxismo-leninismo.

Facendo un bilancio del congresso costitutivo dell’Udi, che si è svolto a Firenze nell’ottobre ’45, Togliatti è lapidario: bisogna educare le donne per evitare che votino per i partiti della reazione. Ma per convincere le donne “occorrono forme di organizzazione più popolari, più semplici”.(12) Bisogna saper parlare dei problemi della vita di tutti i giorni. La politica delle donne è diversa da quella dei loro compagni. La politica, quella vera, le donne la impareranno dopo. Ma, attenzione: guai se non la imparassero. Scrivere una petizione al sindaco per far aprire una scuola materna è già un esercizio di democrazia “dal basso”: leggendo la stampa di partito, le donne impareranno anche l’“altra” politica, quella degli uomini, e le migliori diventeranno delle dirigenti politiche. Per le donne avviene il contrario che per gli uomini: prima si discute con altre donne di figli da crescere, di scuole e asili da riaprire, di prezzi che salgono; poi si imparerà cosa vuol dire l’unità democratica del Pci con gli altri partiti.

Con la creazione dell’Udi, la prima organizzazione tutta femminile e unitaria, il “partito nuovo” ha fatto un passo avanti sulla strada della conquista delle donne italiane. L’Udi non va confusa o identificata col Pci, non dev’essere una “succursale del partito comunista”(13): Togliatti è perentorio: quanto più l’Udi sarà aperta formalmente alle democristiane, alle azioniste, alle socialiste, alle indipendenti, tanto più diventerà “quello che noi abbiamo pensato: un’organizzazione che tenda ad avere sotto la sua influenza tutte le donne italiane”.(14) È normale però che, nell’Udi come in tutte le altre organizzazioni di massa, i comunisti tentino di imporre la loro politica che “è nell’interesse di tutta la massa”. Farlo in modo troppo esplicito sarebbe però “profondamente sbagliato”. Insomma, ammonisce Togliatti, “toglietevi dalla mente questa rappresentazione del comunista il quale, attraverso le furberie e i trucchi, riesce a mettere nel sacco tutti gli avversari”(15). Quando i comunisti parlano di unità democratica ci credono davvero. E così le compagne dell’Udi. Perché è bene chiarirlo una volta per tutte: “quando diciamo alle donne cattoliche di venire con noi […] non facciamo nessuna manovra. Siamo sinceri!”.(16)

Carattere distintivo dell’Udi, che rimarrà un suo tratto dominante anche negli anni del confronto/scontro con il neofemminismo, è l’ambivalenza irrisolta fra la rivendicazione della parità con gli uomini nelle leggi e nella società e il desiderio di valorizzare la differenza sessuale. Nell’Italia martoriata dalla guerra, nel Nord occupato dai tedeschi come nel Sud liberato dagli alleati, non c’è spazio per le istanze femministe. Prima bisogna diventare cittadine, costruire un movimento organizzato, liberare il paese dai nazifascisti. La liberazione sessuale verrà dopo. Nel ’44-45 le iscritte all’Udi sono donne in guerra. Hanno chiaro un principio fondamentale: non si può parlare di sé, della propria vita interiore, della propria soggezione, se prima non si libera il paese dai tedeschi e dai fascisti. Per le donne italiane le guerre da combattere sono due: contro i tedeschi e i fascisti che sono i nemici esterni, visibili, contro cui ci si può armare; e contro i nemici interni, non sempre riconoscibili, spesso solo potenziali, che sono i mariti, i fratelli, i compagni di partito. La guerra contro i nemici interni, quella per liberare sé stesse, per le comuniste dell’Udi non è ancora incominciata.

Dentro al PCI sono le ragazze comuniste, riunite a Roma nel febbraio del ’54, a chiedere un cambiamento profondo nel modo di intendere l’emancipazione femminile(17). Emancipare le donne non vuol dire solo avere lo stesso lavoro e lo stesso salario degli uomini. C’è un diritto che non è stato ancora conquistato e la cui mancanza è diventata motivo di sofferenza. È il “diritto al rispetto degli altri”. Come scrive su “Avanguardia” una ragazza di Milano che alla conferenza di Roma non andrà per non turbare padre, fratelli e fidanzato, è “il diritto a[l] pensare ed agire secondo coscienza, e non secondo i pregiudizi di cui sono ancora piene le teste”(18). Di femminismo ancora nessuno parla, ma sulla rivista della Federazione giovanile comunista italiana comincia a insinuarsi, in modo per ora velato, un tema nuovo, che resterà a lungo inascoltato da parte del gruppo dirigente del PCI: la possibilità di “cambiare le teste”. L’Italia del dopoguerra è un paese da ricostruire non solo materialmente, ma anche moralmente. Finora emancipare le donne voleva dire lottare per l’uguaglianza con l’altro sesso. Bisogna conquistare qualcosa che nella “città futura” del socialismo realizzato nessuno ha ancora previsto: una cultura nuova che spinga le donne a vivere anche per sé e gli uomini a riconoscere il loro diritto di esistenza.

La sordità del gruppo dirigente del PCI verso tali tematiche è in realtà del tutto coerente con la politica togliattiana verso le donne, che inquadra l’obiettivo strategico dell’emancipazione femminile nella via italiana al socialismo. A raccogliere per prima l’appello delle ragazze comuniste è Nilde Iotti, che all’inizio degli anni Sessanta diventa responsabile della Commissione femminile nazionale del Pci: quel tema nuovo della coscienza di sé le appartiene da sempre. Ha lottato faticosamente per affermare i suoi valori e per il suo lavoro, ma anche per difendere i suoi sentimenti, senza mai smettere di chiedere un riconoscimento contro l’angusta morale del suo tempo che all’interno del partito è se possibile ancora più soffocante. La “compagna di Togliatti”, come viene definita dentro il partito e fuori, ha capito molto presto che lo sforzo per essere sempre sé stessa, nel lavoro come negli affetti, è una battaglia da combattere, più dura forse di tutte le altre. Ha imparato cioè che non ci sono solo battaglie per il pane e per l’uguaglianza: quella per affermare la propria soggettività non è una battaglia da meno. Lottare per la propria emancipazione vuol dire insomma affrontare una doppia sfida: non rinunciare mai alla lotta politica, al proprio lavoro, alle proprie idee, ma nemmeno alla sfera soggettiva. Contro la linea ufficiale del suo partito, contro lo schema ideologico dello stesso Togliatti, secondo il quale le donne italiane saranno libere solo conquistando parità e uguaglianza con l’altro sesso, la Iotti fa un passo avanti: è vero che le donne italiane hanno compiuto grandi progressi nelle lotte per il lavoro e l’uguaglianza, ma bisogna cambiare anche il costume e la mentalità. Non solo parità nel lavoro, ma parità nei sentimenti e nella libertà di essere sé stessi(19).

Uguaglianza e coscienza di sé vanno di pari passo: la società socialista renderà le donne uguali agli uomini, ma la “grande trasformazione” del paese sarà compiuta solo quando le donne avranno finalmente coscienza della propria soggezione e si batteranno per cambiare il modo di pensare. Il tema della “coscienza nuova” delle donne è ripreso in un lungo saggio su “Rinascita”, che la Iotti dedica ai diritti delle donne a dieci anni dalla conquista del diritto di voto. Diventare cittadine era stata la breccia per compiere finalmente, con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, quella che viene definita “una vera e propria rivoluzione”(20). E ricorda gli articoli della Carta costituzionale che riconoscono la piena uguaglianza morale, giuridica, sociale e salariale di donne e uomini. I principi sono fondamentali, ma non bastano a cancellare il pregiudizio dell’inferiorità e della soggezione delle donne. Almeno sulla Carta, le donne sono a tutti gli effetti uguali agli uomini. Ma per diventare le donne nuove del “partito nuovo”, per cambiare davvero la politica e la società, bisognerà “cambiare le teste”.


NOTE

  1. (La relazione riprende e rielabora il testo dell’articolo La “via italiana” all’emancipazionismo, da me pubblicato su “Critica marxista” nuova serie, n. 1/2 gennaio-aprile 2021, pp. 56-64).
  2.  Fondazione Istituto Gramsci, Archivi, Archivio del Partito comunista italiano (d’ora in poi FGR, APC), Lavoro femminile 1944-1945, 1-399, Carte Picolato, “Il Partito comunista d’Italia e il lavoro fra le donne”, luglio 1944, p. 2. Il documento è stato pubblicato in “Bollettino di Partito”, pubblicazione della Direzione del P.C.I. per tutte le Federazioni, n. 1, agosto 1944, pp. 20-22.
  3.  Ivi, p. 1.
  4.  P. Togliatti, L’emancipazione della donna: un problema centrale del rinnovamento dello Stato italiano e della società italiana, discorso pronunciato alla I Conferenza femminile del Partito comunista italiano, Roma, 2-5 giugno 1945, in Id., L’emancipazione femminile, prefazione di L. Longo, Editori Riuniti, Roma 1973 (I ed. 1965), p. 46.
  5.  Le democristiane usciranno ufficialmente dai Gruppi di difesa della donna nel dicembre 1944, a Genova, dopo la nascita di un Comitato di coordinamento femminile federato alla Dc.
  6.  Togliatti, L’emancipazione della donna, cit., p. 35.
  7.  Cfr. ivi, p. 34
  8.  Ivi, p. 35.
  9.  P. Togliatti, “È stato giusto dare il voto alle donne?”, discorso pronunciato alla riunione delle attiviste di Roma. Roma, 13 maggio 1953, in Id., L’emancipazione femminile, cit., p. 78.
  10.  Cfr. Unione di tutte le donne italiane nel quadro dell’unità nazionale, in “Bollettino di Partito”, n. 5-6, maggio-giugno 1945, cit., p. 13.
  11.  FGR, APC, Lavoro femminile 1944-1945, 0242 0892-0894, Carte Picolato, circolare alle commissioni di lavoro femminili delle Federazioni, 30 ottobre [1945].
  12.  FGR, APC, MF 272, Verbali della Direzione, 1945, Verbale della riunione della Direzione del 5 novembre 1945, intervento di Togliatti, pp. 1-2.
  13.  Togliatti, L’emancipazione della donna, cit., p. 43.
  14.  P. Togliatti, L’unione delle donne deve essere unicamente lo strumento di lotta di tutte le donne per la conquista dei loro diritti e della libertà, discorso alle delegate comuniste alla Conferenza dell’Unione donne italiane, Roma, 8 settembre 1946, in Togliatti, L’emancipazione femminile, cit. p. 62.
  15.  Ivi, p. 63.
  16.  Ibidem.
  17.  La I Conferenza nazionale delle ragazze comuniste si svolge a Roma dal 26 al 28 febbraio 1954 alla presenza di Togliatti e di Enrico Berlinguer, allora segretario della FGCI.
  18.  Perché Rosanna non sarà a Roma, in “Avanguardia”, n. 8, 21 febbraio 1954, p. 5.
  19.  Cfr. intervento di Nilde Iotti su “Avanguardia”, n. 11, 14 marzo 1954, pp. 8-9.
  20.  N. Iotti, Il diritto di voto ha aperto alle donne la via del progresso, in “Rinascita”, n. 1, Gennaio 1955, p. 15.