Svolta di Salerno: ottant’anni fa l’intuizione di Togliatti che cambiò l’Italia liberata

Di Francesco Barbagallo

Il seguente testo, già pubblicato sul sito strisciarossa.it, è un estratto in anteprima della relazione di Francesco Barbagallo per il convegno «Togliatti, la “svolta di Salerno” e le radici della Repubblica» organizzato da Futura Umanità – Associazione per la Storia e la Memoria del PCI, che si terrà sabato 25 maggio presso la Camera del Lavoro di Napoli a partire dalle 9:30.

Nell’inverno del 1944 la situazione politica nel regno del Sud, controllato dall’Allied Military Government (AMG), appare ancora bloccata dal contrasto istituzionale insorto tra i partiti antifascisti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale e il governo regio presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio. A marzo si concludeva la trattativa avviata al principio del ’44 tra il diplomatico italiano Renato Prunas, segretario generale del ministero degli Esteri, e il rappresentante sovietico nel Mediterraneo Andreij Vysinskij, che assicurava al regno del Sud il riconoscimento da parte dell’Unione Sovietica.

Le conseguenze di questo accordo erano di grande importanza. L’URSS otteneva quanto si era visto ripetutamente negare dagli alleati anglo-americani, il coinvolgimento cioè nelle questioni dell’area mediterranea, e si mostrava favorevole alla formazione di un governo italiano di unità nazionale antifascista con la partecipazione del Pci. L’Italia di Vittorio Emanuele III e di Badoglio cercava di estendere le sue relazioni internazionali al fine di rendere meno dure le condizioni della resa imposta dagli anglo-americani e di consolidare il suo evanescente governo. Qualche giorno dopo sbarcava a Napoli Palmiro Togliatti.

n effetti Ercoli aveva chiesto di tornare in Italia subito dopo la caduta del fascismo, il 27 luglio 1943, a Georgi Dimitrov, segretario dell’appena disciolto Comintern. E tornerà a porre con forza sempre a Dimitrov la questione del suo ritorno in Italia il giorno dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania, il 14 ottobre 1943: “È necessario che noi stessi abbiamo un’opinione chiara sulla questione della partecipazione dei comunisti al governo Badoglio”, in modo da potere influenzare la posizione dei compagni italiani “mediante le nostre trasmissioni”.

Già il 10 settembre – due giorni dopo la resa incondizionata dell’Italia agli anglo-americani – Togliatti dichiarava da Radio Milano Libertà che se il governo Badoglio prenderà “nelle sue mani, apertamente senza esitazioni, la bandiera della difesa dell’Italia contro la vile aggressione hitleriana […] il popolo gli darà il suo appoggio”. E il 23 settembre darà un giudizio positivo al proclama di Badoglio per la lotta del popolo contro i tedeschi e lo riconoscerà quale “capo del governo legittimo del nostro paese”. Ancora più significativo è il discorso del 16 ottobre, sempre da Radio Milano Libertà, che si dichiara favorevole ad accogliere l’invito di Badoglio ad ampliare il suo governo ai partiti antifascisti.

Come osserverà Paolo Spriano, “la linea è evidente: collaborare con Badoglio, spostare l’asse politico del suo governo, trasformare il governo del maresciallo in un governo democratico, di unità nazionale”. Ma non è la linea del CLN di Roma e nemmeno del CLNAI di Milano, che sono ben lontani da ogni idea di collaborare col re e con Badoglio. Così come i dirigenti comunisti romani guidati da Mauro Scoccimarro e i milanesi con Luigi Longo e Pietro Secchia.

Intanto, a fine ottobre 1943, si tiene a Mosca una conferenza dei ministri degli esteri di Unione Sovietica, Stati Uniti e Gran Bretagna, che discute anche il problema italiano e approva una dichiarazione comune per la distruzione completa del fascismo da perseguire con la partecipazione al governo italiano “di quei settori del popolo italiano che si sono sempre opposti al fascismo”.
In un discorso che terrà il 26 novembre 1943 nella sala delle Colonne della Casa dei sindacati a Mosca, Togliatti indica con chiarezza i temi che costituiranno pochi mesi dopo i fondamenti della ‘svolta di Salerno’. Anzitutto l’accantonamento temporaneo della pregiudiziale antimonarchica per la necessità di costituire un governo di unità nazionale con la partecipazione di “tutte le forze democratiche popolari” per imporre “a tutta la nazione uno sforzo unanime, continuo, ostinato, per condurre la guerra in maniera efficace”.

A vittoria ottenuta una Assemblea costituente avrebbe risolto la questione istituzionale e dato vita a una nuova democrazia italiana: “Per questo la nuova democrazia italiana dovrà essere una democrazia antifascista conseguente, un regime forte, che poggi su una vasta rete di organizzazioni di massa, di sindacati, di cooperative, di partiti politici antifascisti. Essa dovrà garantire tutte le libertà popolari”.

Il 12 gennaio 1944, sempre dai microfoni moscoviti di Radio Milano Libertà, Togliatti indicherà ancora una volta la linea per un nuovo governo unitario italiano e per il rinvio al dopoguerra della questione istituzionale, proprio mentre si avviava la trattativa per il riconoscimento sovietico del governo Badoglio: “Creazione sollecita, immediata anzi, di un governo nazionale democratico e con la partecipazione di tutti i partiti antifascisti, […] pubblica solenne dichiarazione di tutti – a cominciare dal re e da Badoglio fino all’ultimo dei partiti – con la quale si promette al popolo che il problema della forma dello Stato sarà dal popolo stesso deciso, finita la guerra, attraverso l’Assemblea costituente di tutta la nazione”.

Nel comunismo internazionale e ai vertici sovietici si appalesano però ancora posizioni antitetiche sulla situazione italiana. Il 24 gennaio Dimitrov invia al ministro degli Esteri Molotov un documento in cui si dichiara: “I comunisti non devono partecipare all’attuale governo Badoglio, in primo luogo perché questo governo non è un governo democratico, che conduca una guerra attiva contro il nemico, e, in secondo luogo, perché l’ingresso dei comunisti nell’attuale governo scinderebbe il fronte nazionale antifascista e in tal modo rafforzerebbe gli elementi reazionari nella cerchia del re e di Badoglio”.

Questa situazione profondamente contraddittoria provocherà una risoluzione redatta proprio da Togliatti il 26 febbraio 1944, e trasmessa il 1° marzo da Dimitrov a Molotov, in cui si afferma il contrario di quanto fino ad allora sostenuto. I comunisti “chiedono l’abdicazione del re, in quanto complice della costituzione del regime fascista e di tutti i crimini di Mussolini, […] rifiutano di partecipare all’attuale governo Badoglio e denunciano nella politica di questo governo un ostacolo a una vera partecipazione del popolo italiano alla guerra contro la Germania”.

Ma una postilla apposta da Togliatti a questo documento riafferma quanto sostenuto più volte e ribadito appena giungerà a Napoli un mese dopo: “I comunisti sono pronti persino a partecipare a un governo senza l’abdicazione del re, a condizione che questo governo si attivi nel condurre la guerra per la cacciata dei tedeschi dal Paese, che realizzi i sette punti della Conferenza di Mosca, e che lo stesso re accetti di convocare dopo la guerra una Assemblea costituente alla quale spetti la decisione finale sulla questione della monarchia e del futuro regime del Paese”.

Decisivo risulta essere stato il colloquio tra Togliatti e Stalin nella notte tra il 4 e 5 marzo, rimasto riservato. Si può solo ipotizzare che i giudizi dei due leader comunisti fossero sostanzialmente coincidenti e che ci possa essere stata anche una reciproca influenza, pur nella profonda differenza di potere tra il capo sovietico e il dirigente italiano.

Togliatti lascerà Mosca intorno al 6 marzo. Le pratiche per il rimpatrio erano state avviate da tempo, incontrando difficoltà e ritardi, sia a Mosca che in Italia. Il permesso sarà accordato solo a fine gennaio ’44. Il viaggio durerà una ventina di giorni. In aereo il compagno Ercoli raggiungerà Baku, poi Teheran, quindi Il Cairo dove, il 14 marzo, gli giungerà notizia del riconoscimento sovietico del governo Badoglio. Ad Algeri, dove arriva il 21 marzo, le autorità alleate gli comunicano la difficoltà di ottenere un passaggio aereo e lo autorizzano a proseguire via mare. Togliatti si imbarca sul mercantile britannico Ascania e giungerà a Napoli la sera del 27 marzo.

Napoli gli apparirà in uno scenario ‘apocalittico’, tra i fumi del Vesuvio in eruzione e i disastri bellici: “Già da molte ore, anche prima di arrivare in vista delle coste, una enorme massa di fumo che si addensava sul mare per decine di chilometri annunciava l’Italia e il Vesuvio. […] Una pioggia di cenere sottile vagava sul golfo, copriva i campi e le strade. Il volto della patria, di nuovo raggiunta dopo diciott’anni d’esilio, aveva qualcosa di apocalittico”.

Ercoli arriverà nella notte in Federazione e si farà riconoscere dai compagni presenti: Salvatore Cacciapuoti, Clemente Maglietta, Maurizio Valenzi. Il 30 e 31 marzo il PCI terrà il primo Consiglio Nazionale delle regioni liberate. L’intervento di Togliatti, definito da Pietro Nenni la ‘bomba Ercoli’, ribaltò la situazione politica dell’Italia liberata. Ma in sostanza fu quanto aveva già affermato più volte e in particolare nella ricordata trasmissione di Radio Milano Libertà del 12 gennaio.

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