Paolo Ciofi e Roma

Di Sandro Morelli

Lunedì 18 novembre 2024 presso il Teatro di Porta Portese in Roma, Futura Umanità e l’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra hanno organizzato il convegno dal titolo “Il compagno Paolo Ciofi – Socialismo e democrazia nel percorso di un comunista italiano”.

Pubblichiamo i testi delle relazioni dei partecipanti all’iniziativa.

Il mio primo incontro ‘ravvicinato’ con Paolo fu nel maggio 1977, quando − convocato − lo raggiunsi a via dei Frentani, nella Federazione romana del PCI della quale era stato eletto segretario qualche mese prima, nel 1976, dopo essere stato segretario a Latina e, poi, segretario regionale del Lazio, succeduto a Enrico Berlinguer.

Cominciò così una frequentazione assidua, perché Paolo mi propose ‘ufficialmente’ di divenire funzionario di partito nella segreteria della Federazione: un onore e una responsabilità francamente inaspettate, per me che allora, poco più che trentenne, ero il responsabile regionale della Lega delle cooperative del Lazio che, (come potete immaginare, in quei tempi soprattutto), nella sua componente comunista ‘rispondeva’ – per gli orientamenti politici e non solo… − al partito romano e laziale.

Si trattò, dunque, di una frequentazione politica pressoché quotidiana che sarebbe sfociata, anni dopo, in una sincera amicizia fatta non di frequentazioni di tipo ‘familiare’, ma di frequenti incontri e colloqui nell’ora di pranzo e, per un certo periodo anche di collaborazioni ‘reciproche’, almeno nella fase iniziale della prima ‘creatura’ di Paolo, Articolo 1, un’Associazione dedicata ai problemi del lavoro e, reciprocamente, con articoli che Paolo scrisse per Quale Stato, la Rivista della Funzione pubblica CGIL della quale mi occupavo dopo aver lasciato il funzionariato politico, con la fine del PCI.

Ma torniamo al 1977. Devo dire che quel primo incontro fu per me illuminante: la cortesia, il rispetto verso un giovanotto “alle prime armi” come me, il temperamento mite ma determinato, la chiarezza nell’esporre le sue idee, l’evidente cultura sottostante e la conoscenza critica dei problemi romani, mi convinsero che accettare quella “proposta” mi avrebbe anche consentito di imparare molto, di operare concretamente per le “cause” sociali e politiche che mi appassionavano ma anche di conoscere meglio un ambiente che mi apparve, in Ciofi, serio, colto e con un vero rapporto “di massa”, di collaborare, insomma, con un Segretario “per bene”, onesto e disinteressato, “disciplinato” fino all’eccesso:

[Voglio qui ricordare che da poco – nel mese di febbraio – Paolo aveva subito ingiusti e violenti attacchi politici – feroce fu l’Editoriale di Pajetta su l’Unità della domenica − per la presunta scelta della Federazione romana di portare Lama all’Università occupata dal cosiddetto ‘Movimento del ’77’ e, in particolare dalla sua area più estrema, gli ‘autonomi’, che riuscirono a cacciare Lama e tutti noi, a chiudersi dentro la Città universitaria, minacciando col gesto (e non solo) della pistola. So per certo che Ciofi non era stato favorevole a quella scelta, che fu ‘nazionale’ e, in particolare, proposta e sostenuta soprattutto da Lama stesso e dalla CGIL…

Vabbe’, andiamo avanti Ora − stando al mio punto di vista e ai miei ricordi come suo collaboratore, naturalmente − dell’esperienza di Paolo segretario del PCI di Roma vorrei ricordar principalmente tre caratteri davvero distintivi della sua personalità, della sua visione di Roma Capitale, del suo impegno complessivo di studio e di lavoro:

  • La guida del Partito nell’impegno contro il terrorismo dilagante in quegli anni (con i ‘Sabati neri’ a Roma e, infine, il rapimento e l’uccisione di Moro);

  • La sua visione non localistica ma nazionale e costituzionale del carattere delle trasformazioni necessarie per Roma, che proseguì anche dopo il 1979, quando fu eletto Vice Presidente della Giunta regionale del Lazio;

  • E poi, dal 1983 al 1987, quando fu eletto Deputato, il progetto per ‘Roma Capitale’ di cui fu principale e originale ideatore, nel quale coinvolse anche l’impegno diretto e le idee di Enrico Berlinguer.

    Ho detto dell’impegno contro il terrorismo nero e delle BR a Roma

    Be’, quello fu un periodo drammaticamente difficile. Al di là delle considerazioni e della strategia di ordine nazionale generale, qui a Roma, la guida di Ciofi, di Petroselli (segretario regionale fino al 1979 e poi Sindaco di Roma) e del gruppo dirigente del Parito nel suo insieme, dalle Sezioni alla Federazione, furono la garanzia della resistenza e della compattezza con cui i 70.000 iscritti di Roma e provincia affrontarono la continua mobilitazione che si chiedeva loro.

    Di Lama all’università ho già detto.
    È del 1978 il dossier della Federazione sulla violenza eversiva a Roma. Ne parla Ciofi nel suo scritto per “Il PCI a Roma”, p.235 (Bordeaux). Leggete − chi non l’avesse ancora fatto − il suo racconto sui “sabati neri” segnati dalle manifestazioni violente degli “autonomi”, sui numerosi attentati con morti e feriti: dalla metà del 1976 a tutto il 1977, 254 attentati terroristici e 261 atti di violenza squadristica organizzata. Paolo stesso fu messo “sotto scorta” per le minacce ricevute e risultò, in seguito, che la Federazione era stata messa sotto controllo da “brigatisti rossi” piazzatisi in un palazzo lì accanto: questione sulla quale non fu mai fatta piena luce.

    Nella stessa testimonianza Paolo ricorda giustamente che questo inferno si scatenò − non a caso, direi − dopo il “lancio” della strategia del “compromesso storico”; che nel 1973 vi fu il famoso, inquietante ‘incidente’ che, in Bulgaria, travolse l’auto dove viaggiava Berlinguer, e, nel 1976, il cosiddetto “Vertice di Portorico” che allineò i governanti europei al minaccioso veto statunitense ad ogni ipotesi di avvicinamento del PCI al governo dell’Italia.

    E, infine, col rapimento e l’uccisione di Moro (i 55 giorni da incubo dal 16.3. al 9.5.1978) la democrazia repubblicana fu mortalmente sfidata, e quella tragedia umana e politica sfociò anche nella chiusura di un’intera fase strategica del PCI di Berlinguer (quella, appunto, del “compromesso storico”)

    A ripensarci oggi viene quasi impossibile immaginare quale impegno, quale tensione ci si rovesciò addosso in quel periodo. La segreteria, poi, era stata molto rinnovata con forze giovani, come ricorda Paolo stesso nello scritto già citato: oltre ai ‘veterani’ Trezzini e Vitale, c’erano, con me, i giovani Pasqualina Napoletano, Franco Cervi, Angelo Fredda.
    Ma il PCI resse e riuscì, nel complesso, a continuare ad esercitare la sua funzione di governo a Roma e nel Lazio, ad elaborare idee ed iniziative per Roma, certo anche oscurate da quella cappa sovrastante, così drammatica e dalla conclusione umanamente così tragica e politicamente così stravolgente.

    L’impegno e la visione di Ciofi e del PCI per Roma, negli anni di governo a Roma, alla Regione e alla Provincia

    È opportuna una premessa: Ciofi fu uno dei pochi dirigenti del Partito a manifestare una esplicita diffidenza verso quello che lui definì “l’illuminismo” urbanistico, cioè l’illusione di ritenere che [cit. da: Del governo della città, Bordeaux, pp.44 e 45] “… si potesse dare respiro all’azione di governo semplicemente con il decentramento della macchina capitolina o il decongestionamento sul territorio, invece di dare corpo ad una nuova qualità dello sviluppo […]” E aggiunge che, secondo lui, si trattava di: “… un limite tradizionale della cultura della sinistra a Roma, che non è stato superato […]”

    Attenzione: questo è un punto di vista culturalmente di grande importanza “strutturale” che sosterrà tutta la visione e l’iniziativa di Paolo su e per Roma e, poi, per Roma Capitale. E che lo distinguerà, appunto, dalle visioni correnti e prevalenti. Non un punto di vista – chiarisco – contrapposto a quello di Petroselli, ma ad esso significativamente complementare.

    Insomma, potremmo dire − in modo necessariamente sommario e semplificato − che se la ‘nuova idea per Roma’ lanciata da Petroselli, perseguita da Sindaco (e condivisa senza riserve, sia chiaro, da Ciofi e dall’insieme del partito) guardava essenzialmente all’aggregato sociale romano, alla distribuzione della ricchezza e del benessere nella città, alla necessità di ‘unificarla’ e di ‘accorciare’ le distanze sociali, culturali e urbanistiche (esemplare il sostegno all’”idea sublime” di Leonardo Benevolo e di Antonio Cederna del “Progetto Fori”, sostenuta dal progetto dello “S.D.O.”, il trasferimento, cioè, delle funzioni ministeriali e burocratiche nel quadrante orientale di Roma, contribuendo al suo risanamento urbanistico e sociale), in Ciofi – grazie anche ai fondamenti della sua cultura economica − si sottolineava come tutto questo esigesse la progettazione e la rifondazione anche di nuovi, concreti fondamenti per un diverso sviluppo economico e produttivo (dopo i primi segni di esaurimento del tradizionale traino clientelare affidato al pubblico impiego e di quello legato alla speculazione edilizia). Nuovi fondamenti che non potevano non tener conto della funzione di Roma come Capitale e, quindi, di un progetto e di investimenti nazionali per la Capitale: fu questo, vedremo tra poco, l’asse portante della mozione del 1984 e della proposta di legge del 1986.

    La “svolta di governo” nel Lazio (1975) e a Roma e Provincia (1976) fu davvero clamorosa. A Roma il PCI tolse, col 36,99%, il primato politico alla DC consentendo l’elezione del primo Sindaco di sinistra, proposto dal PCI: il prof. Giulio Carlo Argan.

    Ma si erano, negli anni precedenti, manifestati presupposti e antecedenti assai rilevanti, che ne furono premonitori. Oltre ai tanti movimenti che, sul piano sociale, furono caratterizzati dall’iniziativa dei sindacati, dell’Unione Borgate nell’estrema periferia e del PCI stesso, va in particolare ricordato, a proposito dei più larghi e complessi rapporti sociali e istituzionali nella Capitale, il ‘Convegno sui mali di Roma’, promosso nel 1974 dal Vicariato retto da Monsignor Poletti, che suonò come una forte, inaspettata denuncia dell’operato delle Giunte DC, in particolare riguardo allo stato di degrado e di abbandono delle periferie. Ciofi, (ne Il PCI a Roma, p.244) ricorda che Poletti volle incontrarsi anche con lui, in forma naturalmente riservata.

    Il 1977 si aprì, a febbraio – come ho già ricordato − con la drammatica vicenda della “cacciata’”di Lama dall’Università.

    È dell’aprile dello stesso anno, il 1977, il XIII congresso della Federazione romana. Un Congresso importante, in quella fase così travagliata, nel quale furono poste le basi di pensiero e di iniziativa che, poi, frutteranno lo sviluppo dell’elaborazione su ‘Roma Capitale’: da un lato, l’idea di un progetto alternativo per una riforma dello Stato fondata sul decentramento amministrativo e sulla partecipazione democratica; dall’altro, quella di un diverso sviluppo produttivo fondato sulla promozione della cultura e della scienza nei settori più innovativi. Vi tornerò, in conclusione, a proposito della mozione parlamentare su “Roma Capitale”.

    Sempre nel 1977, a luglio, il Sindaco Argan promosse la Conferenza urbanistica per Roma, nella quale furono poste le basi che consentirono poi, con Petroselli sindaco, il risanamento delle borgate e lo sviluppo dell’edilizia economica e popolare guidato – grazie alla Legge Bucalossi – dal primato dell’Amministrazione pubblica nella concessione del diritto all’edificazione nelle aree dei “Piani di zona”.

    Altri tempi! Qui non posso soffermarmi, ma chi vuole può trovare sintetici ma taglienti giudizi di Paolo [Il PCI a Roma, p. 254) a proposito del tanto decantato “Modello Roma” che caratterizzò, anni dopo, all’inizio degli anni 2000, l’esperienza delle Giunte guidate da Rutelli e da Veltroni e la citazione del giudizio del compianto Renato Nicolini a proposito del [cito il virgolettato] “peggiore Piano regolatore nella storia di Roma” elaborato e approvato dopo il Giubileo del 2000, con Veltroni sindaco e Morassut assessore all’Urbanistica.

    Non furono meno attente l’attenzione e la “cura” che Paolo dedicò al Partito.
    Ricordo la conferenza cittadina dell’ottobre del 1978, che rafforzò la mia consonanza con le convinzioni di Paolo, perché diede il via al decentramento delle forze più esperte del gruppo dirigente dal “centro” alla “periferia”, con la costituzione dei venti comitati politici di Circoscrizione (che sostituirono le vecchie cinque Zone: Centro, Nord, Sud,Est e Ovest) e con il conseguente rafforzamento del rapporto “ravvicinato” del partito con i cittadini, teso esplicitamente, come scrive Paolo in Il PCI a Roma, ad evitare “una pratica che consideravo sbagliata e contrastavo, secondo cui il partito, una volta conquistato il governo, di fatto si identifica con esso e ne diventa il braccio propagandistico ed operativo”. Una visione critica, questa, che successivamente fu al centro anche delle mie convinzioni e della mia pratica di Segretario della Federazione e che, poi, si sarebbe manifestata giusta ma, purtroppo, perdente, fino alle esasperazioni, sul piano generale, dell’indebolimento del radicamento sociale che è fra i mali più gravi di una sinistra in crisi ormai storica, credo di poter dire.

    Nel 1979 Paolo fu indotto a lasciare la guida della Federazione (alla fine, forse, dirò ancora due parole su questa “destituzione”, di cui ho detto già nel mio intervento in Il PCI a Roma) e assunse presto l’incarico di Vice Presidente della Giunta regionale del Lazio.

    Non smise di occuparsi, istituzionalmente, di Roma. Dall’istituzione dei parchi naturali per un riequilibrio del rapporto fra produzione e uso del territorio, alla creazione di un’unica Azienda regionale per il trasporto pubblico (l’ACOTRAL), all’impresa forse più difficile e significativa, anche per Roma: la costruzione della rete degli ospedali pubblici − in armonia con la Riforma sanitaria del 1978 − con il trasferimento alla Regione degli ospedali romani (in maggioranza del Vaticano), “ …senza traumi e rotture, contenendo e controllando l’opposizione della Democrazia Cristiana e gli interessi economici non trascurabili ad essa legati. “A mia memoria, un capolavoro politico”, scrive Ciofi nel citato Il PCI a Roma, p. 247.


    E aveva ragione: un “capolavoro politico” che contribuì, credo, a rafforzare in lui le convinzioni che l’avrebbero portato, anni dopo, da parlamentare, a promuovere il suo ulteriore più compiuto (e più disatteso e, in fondo, misconosciuto) ‘capolavoro’: la Mozione parlamentare su “Roma capitale”, di cui fu primo firmatario Enrico Berlinguer e che − l’anno successivo, nel 1985 − fu approvata a maggioranza dalla Camera dei Deputati, e fu seguita poi, nel 1986, dalla Proposta di legge di cui primo firmatario fu proprio Paolo e rimase, però, non discussa per lo scioglimento delle Camere nel 1987 e, poi, disattesa.

    Per “Roma Capitale’”

    I due testi sono integralmente riportati e chiaramente descritti e commentati da Ciofi nel suo libro Del governo della città – L’esperienza delle “Giunte rosse” per un’altra idea di Roma, (Bordeaux, 2016) che − a chi non l’avesse ancora fatto e fosse interessato a questi temi − consiglio vivamente di leggere e di “studiare”, perché penso si tratti, per Roma, di uno di quei “sentieri interrotti” che ancora oggi conservano una malinconica inattuata attualità, dinanzi ai problemi e, spesso, alle miserie politiche e sociali in cui siamo precipitati. Io non ho qui né l’opportunità né il tempo per entrare adeguatamente nel merito di quella visione di una ‘nuova idea’ non solo per Roma, ma per Roma Capitale.

    Ma qualche cenno vorrei consegnarvelo o ricordarvelo, per cercare di suscitare la vostra curiosità attorno ad un tema e ad atti sostanzialmente misconosciuti e poi desueti, di cui proprio Paolo Ciofi porta quasi per intero tutto il merito, anche per aver coinvolto in prima persona Enrico Berlinguer. E io penso che non casualmente Berlinguer abbia accolto (nel 1984, poco prima di lasciarci) la sollecitazione di Paolo a farsi primo firmatario della Mozione. Lo dico perché, a mio modo di vedere, c’è un nesso concreto e piuttosto stretto fra l’ispirazione della mozione (e della successiva proposta di legge) e gli sviluppi innovativi del pensiero di Berlinguer in quella fase della sua esperienza politica e umana. Ciofi lo dice esplicitamente nel già citato Del governo della città:

    “Berlinguer − dice Ciofi − si impegnò in modo approfondito e rigoroso, come era sua abitudine; riteneva che la presentazione di una mozione da parte del PCI sul ruolo di Roma Capitale avesse fondamento solo a condizione di una forte motivazione NAZIONALE, estranea a qualsiasi forma di localismo e di corporativismo e, perciò, realmente unificante.”

    Ecco, in questa precisazione, c’è già il senso della ricerca di un “rovesciamento” del rapporto che, sin dall’inizio, aveva caratterizzato la relazione fra Roma città e Roma Capitale: la fruizione urbana, popolare e internazionale della città era stata soffocata e utilizzata non solo dalle classi e dai ceti dominanti romani, ma dalle politiche predatorie nazionali, che della Capitale avevano fatto – e in modo scandaloso sotto il fascismo – il “palcoscenico” della propria retorica nazionalista, sventrandola, emarginandone dal Centro storico i ceti popolari e predandone le risorse culturali e territoriali. Era dunque questa dimensione nazionale della concezione e dell’”uso” della Capitale che bisognava sconfiggere, “rivoluzionando” quel rapporto storico. Era questo il senso, il valore della mozione da presentare in Parlamento.

    Di qui l’esigenza di scongiurare la creazione di nuove autorità burocratiche ed extraistituzionali sottratte ad ogni controllo, e di garantire invece il coordinamento fra Governo, Regione, Provincia e Regione sotto il diretto controllo del Parlamento. E la mozione era tutt’altro che reticente o accomodante, infatti, e molto ambiziosa nel proporre il ‘rovesciamento’ programmato:

  • Roma “città” poteva e doveva farsi alimento della Capitale intesa come cervello politico-istituzionale del Paese. E ciò era − proprio secondo il pensiero e la cultura di Ciofi − nella piena disponibilità delle energie della città: per lo sviluppo della cultura, della scienza, della comunicazione (cinema, televisione e ‘elettronica’, nel linguaggio di allora dinanzi agli appena nascenti processi di informatizzazione e digitalizzazione) e dello spettacolo.

  • Necessario, per questo, un processo di riforma e di informatizzazione (preveggenza…) della pubblica amministrazione, segnata da trasparenza, moralizzazione e aperta alla partecipazione attiva dei cittadini (democrazia partecipativa)

    Di qui le proposte concrete:

  • da un lato lo spazio istituzionale nel Centro aperto alle relazioni con i cittadini e alla restituzione ai cittadini delle periferie della fruizione del Centro storico e del grande Parco archeologico sognato da Benevolo, Cederna e Petroselli, con la “spina” dal Campidoglio all’Appia antica;

  • dall’altro la riproposizione dello S.D.O (il sistema direzionale orientale), con lo spostamento ad Est dei Ministeri e la riqualificazione urbana e sociale di quelle periferie degradate.

    Insomma, niente “leggi speciali” per una Capitale non da “sovrapporre” alla città ma, viceversa − viceversa, ripeto − per una Capitale qualificata e alimentata proprio dalle risorse culturali, tecnologiche e umane della Città.

    Una rivoluzione… un’utopia che − penso − Berlinguer volle affiancare volentieri alle sue altre idee “rivoluzionarie” di quella ultima fase della sua vita, e grazie all’impulso di un Paolo Ciofi radicale innovatore che, allora, non valorizzammo come avremmo dovuto (su questo tornerò fra un minuto, concludendo).

    Insomma, anche questa nuova “Nuova idea per Roma Capitale” fu presto destinata all’oblio, con la morte di Berlinguer, la sconfitta delle Giunte di sinistra nel 1985 e, infine, la denaturazione e la fine − fatemelo dire − del PCI nel giro di pochi anni.

    Ecco, pensando a Roma (e non solo…), riuscite a vedere, a immaginare la eventuale concretizzazione di quelle “idee sublimi”, di quelle “utopie” – ferma restando, naturalmente, la consapevolezza degli ostacoli non da noi controllabili del contesto locale, nazionale e internazionale, che non possono essere sottovalutati – ma riuscite comunque a vedere, a immaginare la ricchezza, la diversità alternativa, la modernità che quelle idee di quaranta e più anni fa avrebbero potuto rappresentare per Roma e per l’Italia?

    Concludo consegnandovi una mia personale, forte e − credo − oggettivamente sostenibile convinzione: nel complesso, credo che il pensiero e l’opera di Paolo non furono sostanzialmente valutati in tutto il loro merito, e in modo particolare a proposito anche del suo impegno parlamentare nell’elaborazione della mozione e, poi, della proposta di legge per ‘Roma Capitale’, di cui fu, con Renato Zangheri, primo firmatario.

    Questo si deve, forse, anche al suo temperamento generosamente schivo e non estroverso (che non ispirava, in superficie, un’istintiva empatia) ma anche a differenze (e talora a contrasti) non gravi ma non nascoste con il ruolo più esuberante e ‘visibile’ di altri dirigenti del partito. Primo fra tutti, qui a Roma, Petroselli che, soprattutto quando divenne Sindaco di Roma oscurò − con indubbio e riconosciuto merito pubblico − le funzioni e le figure dell’insieme del gruppo dirigente di Partito.

    Sta di fatto che quando, nel 1979, Paolo fu indotto a lasciare l’incarico di Segretario della Federazione romana, la procedura piuttosto oscura e assai poco rispettosa − anche sul piano umano − con cui questo avvenne, fu una delle ragioni che mi indussero ad una lunga resistenza prima di accettare la mia “cooptazione” dall’alto, succedendogli come segretario della Federazione romana (cfr. Il PCI a Roma, già più volte citato…).

    Ma Paolo non solo accettò il ricambio senza farne un “caso politico”, malgrado l’evidente scorrettezza formale e sostanziale con la quale fu ideato e condotto, ma si impegnò, da quanto so, per la mia candidatura a succedergli. E di tutto questo – credetemi – non mi parlò mai, mai, mai, manifestando una correttezza e un attaccamento al partito, un sentimento di appartenenza (forse persino eccessivo…) del quale molti avrebbero dovuto essergli grati

    E io, stasera, rimpiangendo di non essere stato generoso con lui quanto lui era stato con me, voglio ringraziare tutti voi di “Futura Umanità” anche per avermi consentito di dire qui queste parole, di esprimere questi sentimenti.

    Grazie, grazie davvero.

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