Intervista a Fulvio Lorefice sulla situazione politica italiana rilasciata alla rivista americana Jacobin con il titolo “Italy’s Past Glories”
Il Partito Comunista Italiano (PCI) era un partito con sensibilità diverse. Secondo Palmiro Togliatti era una ‘giraffa’ con una tradizione democratica e nazional-popolare, ma legato allo stesso tempo alla parabola leninista del Comintern. Durante la leadership riformatrice di Enrico Berlinguer negli anni ’70 e nei primi anni ’80, il PCI rimase attaccato a questo passato, anche se cercò di accentuare la sua autonomia da Mosca. Il PCI morì insieme all’Unione Sovietica nel 1991, quale eredità ha lasciata il comunismo italiano?
«Neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince». Il comunismo italiano non si è sottratto al celebre vaticinio di Benjamin. Se è vero che quell’eredità continua ad informare alcune culture politiche della sinistra italiana è altrettanto vero che nella sua traduzione maggioritaria, quella cioè «migliorista», forte è l’impronta «nemica».
Il realismo di Togliatti era finalizzato alla costruzione di rapporti di forza favorevoli nella società e si inscriveva in un disegno politico di emancipazione e progresso. Dopo l’89 il «migliorismo» degli ex Pci è consistito invece in una semplice funzione descrittiva della realtà: un pragmatismo politico fine a se stesso, privo di referenti sociali e orizzonte strategico. Per costoro la rincorsa ad un baricentro politico che andava spostandosi a destra non è mai finita, per legittimare questa deriva si è svuotato di significato il lessico togliattiano che ha assunto una funzione ornamentale. Nella percezione comune il «peggiorismo», andrebbe così definita la cultura politica della destra Pci dopo l’89, rappresenta drammaticamente uno dei principali lasciti del comunismo italiano in termini di cultura politica. La cultura del conflitto per i beni economici è stata accantonata, come se i paradigmi legati ai valori, ai diritti civili, alla partecipazione cognitiva avessero vita autonoma.
Nel discorso politico della sinistra italiana prevale non a caso una lettura del cambiamento addomesticata, che prescinde sostanzialmente dal tema del conflitto. Si è perso di vista un dato ben presente a Togliatti, quello dell’essenzialità della pressione dal basso da parte delle classi subalterne in vista della conquista e della stabilizzazione di nuovi spazi di democrazia e di avanzamento sociale. Senza la dimensione del conflitto, tutto si riduce infatti alla pura e semplice amministrazione dell’esistente.
Per il resto del comunismo italiano sopravvive poco altro: alcune prestigiose figure sono state culturalmente imbalsamate, altre demonizzate e accusate di ogni nefandezza. Eppure basta sfogliare alcune riviste non direttamente politiche – come «Il Contemporaneo», «Riforma agraria» o «Cinemasessanta» – per avere un’idea di quel patrimonio.
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