Ciofi parla «del Governo della città. L’esperienza delle “giunte rosse ” per un’altra idea di Roma»

Paolo Ciofi, intervistato da Alexander Höbel, Ricercatore e da Luca Tarantelli, Presidente dell’Associazione Prisma Memoria Storia e Dialogo parla del suo libro «Del governo della città. L’esperienza delle “giunte rosse ” per un’altra idea di Roma». E’ un importante contributo alle valutazioni per il voto amministrativo della Capitale fissato per il successivo 5 giugno.

L’intervista condotta da Alexander Höbel, si è svolta presso Teleambiente

Del governo della città | L’esperienza delle “giunte rosse” per un’altra idea di Roma

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Il volume raccoglie scritti, interventi e discorsi di Paolo Ciofi sul tema di Roma e della sua doppia crisi, come grande metropoli europea e come capitale dello Stato unitario. Una traiettoria di cui la vicenda di mafia capitale è il punto più basso e vergognoso, ma non un destino inevitabile.

Per cambiare Roma, annota l’autore nell’introduzione significativamente intitolata “Ribellarsi è necessario ma non basta”, c’è una storia dimenticata della quale riappropriarsi, da studiare e rielaborare con gli occhi bene aperti sulle contraddizioni esplosive del presente. È la storia delle «giunte rosse» guidate dai sindaci comunisti Giulio Carlo Argan, Luigi Petroselli e Ugo Vetere nel decennio 1975-1985, che indicarono e percorsero un’altra strada dopo il «sacco di Roma».
Priorità ai bisogni sociali nella metropoli devastata dagli interessi della rendita immobiliare e del profitto; analisi attenta della realtà in movimento; strategia del cambiamento orientata a fare di Roma una moderna capitale, centro di cultura e dell’innovazione tecnico-scientifica,
che ne inveri la vocazione universale secondo i principi costituzionali di uguaglianza, di libertà e di pace. Lungo questi tre assi Ciofi ripercorre i passaggi più significativi di una straordinaria esperienza di governo, dalla quale non si può prescindere per aprire oggi un nuovo orizzonte. E non manca di sottolineare come in proposito, con la mozione presentata alla Camera dei deputati, sia stato decisivo il contributo di Enrico Berlinguer.
Sono pagine che allargando lo sguardo sulle trasformazioni economiche, sociali e culturali intervenute nel decennio successivo 1985-95, e poi sul fallimento clamoroso del tanto decantato «modello Roma» che ha aperto le porte alla gestione di Gianni Alemanno, vertice insuperato del clientelismo e del malgoverno, ci conducono fino alla realtà dei nostri giorni. Una realtà dura e difficile da affrontare che non è piovuta dal cielo, e che secondo l’autore a certe condizioni può essere cambiata.

Togliatti rivoluzionario e costituente

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In occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Palmiro Togliatti, e in un momento nel quale da piu? parti la Costituzione della Repubblica italiana viene posta in discussione, abbiamo ritenuto opportuno raccogliere in volume le relazioni di Gianpasquale Santomassimo, Gianni Ferrara e Paolo Ciofi al convegno organizzato a Roma l’8 novembre 2013 da Futura Umanita? – Associazione per la storia e la memoria del Pci sul tema “Togliatti e la Costituzione della Repubblica democratica fondata sul lavoro”, della quale il segretario del Partito comunista italiano e? stato uno dei principali ideatori ed estensori. In appendice il testo integrale del promemoria di Togliatti sulle questioni del movimento operaio internazionale, passato alla storia come Memoriale di Yalta, redatto dal capo e fondatore del Pci poche ore prima del malore che lo colse nel campo di Artek in Crimea, e che lo porto? alla morte il 21 agosto 1964.

Paolo Ciofi, saggista e politico, è presidente di Futura Umanità – Associazione per la storia e la memoria del Pci;

Gianni Ferrara, costituzionalista, è professore emerito di diritto costituzionale all’Università La Sapienza di Roma;

Gianpasquale Santomassimo, storico, ha insegnato nelle Università di Trieste e di Siena. È membro della Direzione della rivista Passato e presente.
INDICE

7 TOGLIATTI VERSO LA COSTITUZIONE – Gianpasquale Santomassimo

17 IL COSTITUENTE – Gianni Ferrara

20 Togliatti nella Prima Sottocommissione

41 Togliatti nella Commissione dei 75

46 Togliatti nell’Assemblea

48 A mo’ di conclusione

59 LA COSTITUZIONE VIA DEL SOCIALISMO – Paolo Ciofi

75 MEMORIALE DI YALTA

Interviste a Gianni Ferrara e Paolo Ciofi in occasione della presentazione del loro libro su Togliatti a 50 anni dalla morte del dirigente del PCI.

Interviste di Jacopo Venier, Riprese di Roberto Pietrucci, Montaggio di Simone Bucci

Enrico Berlinguer. Un’altra idea del mondo. Antologia 1969 -1984. Paolo Ciofi, Guido Liguori. Editori Riuniti 2014

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 Enrico Berlinguer torna d’attualità, oggi, perchè voleva cambiare il mondo. E il valore della sua ricerca e della sua azione è tanto più rilevante perché nel cuore dell’Occidente capitalistico ha posto la questione della costruzione di una civiltà più avanzata, oltre il capitalismo, in cui il socialismo si coniughi con la democrazia e l’uguaglianza con la libertà. Ora viviamo in un’altra epoca, ma i propblemi di quel mondo che Berlinguer con la sua lotta voleva cambiare restano. Anzi, per molti versi si sono aggravati. Questa antologia offre i maggiori testi (relazioni, articoli, discorsi, interviste) di Berlinguer nel lungo periodo (1969-1984) in cui si trovò alla guida del Partito comunista italiano.

Ripercorrendo attraverso la loro lettura il suo non facile cammino alla guida del Pci in un periodo tra i più drammatici e difficili della nostra storia nazionale, si comprende come chiunque voglia misurarsi in Italia e in Europa con il compito, impervio ma necessario, di cambiare la società, da Berlinguer non possa prescindere. E da lui dovrà riprendere il cammino.
Berlinguer era un rivoluzionario, un combattente che non ha mai detto: «Arrendiamoci, non c’è nulla da fare, non ha senso parlare di rivoluzione».
Intervista a Paolo Ciofi e Guido Liguori, presidente e vicepresidente di Futura Umanità. Interviste e riprese di Roberto Pietrucci; montaggio di Simone Bucci

Berlinguer rivoluzionario di Guido Liguori, Carocci Editore 2014

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Recensione del libro a cura di Michele Prospero

Forse già il titolo del libro di Guido Liguori (Berlinguer rivoluzionario, Carocci) è in esplicita polemica contro le correnti celebrazioni ageografiche di Berlinguer. Ridotto a icona pop, su cui può pontificare Jovanotti, a critico della casta, su cui possono convergere Grillo e Casaleggio, a ispiratore di un governo dei tecnici, su cui può ricamare Scalfari, a una brava persona, su cui tutti possono convenire senza lesinare negli apprezzamenti, il leader comunista perde ogni peculiare tratto distintivo.

Le immagini edificanti di oggi, nascondono il volto vero di Berlinguer, che Liguori dipinge come un comunista democratico, protagonista, con il suo realismo politico rivoluzionario, della storia della repubblica. E su questo profilo è giusto insistere, anche perché è innegabile, nei toni santificanti di oggi, la rimozione totale del legame tra Berlinguer e la vicenda storica del comunismo nell’Italia repubblicana e nella scena mondiale. Come si fa a tagliare da Berlinguer la sua mai rinnegata fedeltà ai principi, il suo richiamo a Lenin e persino al centralismo democratico, il suo attaccamento alla classe operaia animata da una vitale spinta anticapitalista, il suo impegno per un superamento graduale del sistema dello sfruttamento?

E’ un Berlinguer biondo quello che viene venduto dagli apologeti di oggi, che spacciano un santino innocuo che tutti possono amare. Il ragazzo scuro che, poco più che ventenne, entrò nel mitico comitato centrale, e mise piede nella aristocratica direzione di quella enigmatica chiesa rossa che era il Pci, era altra cosa, un politico che concedeva in modo totale la propria vita per una causa di trasformazione. Ad una politica concepita in questo modo, ossia come una scelta integrale per cambiare il mondo e la vita, era connessa la dimensione teorica (ma anche quella dell’estremo sacrificio personale in un palco di Padova) come un aspetto essenziale.
Per questo Liguori sceglie di interpretare “il pensiero politico” di Berlinguer. Non per iscriverlo alla storia delle dottrine, ma perché un prestigioso leader comunista era inconcepibile senza un solido pensiero politico. La strategia politica implicava il supporto di una analisi complessa, l’uso di riferimenti testuali ai classici, con citazioni ben calibrate a seconda delle esigenze del momento, una attenta elaborazione storico-sociale, una dimestichezza con le relazioni internazionali. Un capo politico era anche un raffinato intellettuale.
La leadership di Berlinguer ha avuto due distinte fasi (la consueta dizione “due Berlinguer” è però eccessiva non essendoci una cesura, ma una diversa mescolanza di elementi eterogenei, il politico e il sociale, che sussistono, anche se in proporzioni alterate, in entrambi i momenti). La prima si misura con il consolidamento democratico, con la crisi economica e i governi di solidarietà nazionale, con la maturazione di un processo di legittimazione come forza di governo. Su questa fase storico-politica, Liguori coltiva qualche dubbio. Ne rimarca i ritardi di elaborazione, ne evidenzia i segni di moderatismo (concetto però un po’ troppo severo per dirigenti come Amendola, Macaluso o Lama che spingevano sì verso un’ottica di governo ma che erano, al pari di Ingrao o di Tortorella, pur sempre dentro la tradizione della comune sintesi togliattiana), ne evidenzia la rottura sentimentale con parti rilevanti delle nuove generazioni.
L’opinione di Liguori è che i limiti della cultura del compromesso storico rinviino alla ostilità verso il nuovo biennio rosso scoppiato con il ’68, e alla persistenza di uno schematismo d’ascendenza togliattiana troppo incentrato sui partiti, le istituzioni e gli attori politici. A questa stagione di politicismo chiuso ai movimenti, l’autore preferisce i primi anni ’80, che videro un Berlinguer con “l’artiglio dell’opposizione” ritrovare quella connessione simpatetica con le masse che gli anni della solidarietà nazionale avevano alquanto incrinato.
L’elemento di verità di questa considerazione di Liguori è che in effetti il Berlinguer di lotta e di movimento percepì il ritorno del calore sempre rassicurante di una sintonia con la base. Però un elemento di riflessione va sollevato. Liguori è molto critico con la gestione della solidarietà nazionale e ricorda che nel 1979, scendendo il Pci dal 34,4 al 30,4, “gli elettori la bocciarono clamorosamente”. Un Pci che cedeva terreno all’astensione e in parte ai radicali, e restava comunque ampiamente sopra il 30 per cento (e che stoppava il già competitivo Psi craxiano, bloccato al 9,8), per certi versi incassava un risultato miracoloso.
Quando un partito ritenuto antisistema si incammina con una grande coalizione verso la necessaria legittimazione in una democrazia sbloccata, con un contingente e preventivato sacrificio di forze vissuto come fase preliminare alla conquista del suo ruolo egemonico che lo candida quale polo di una alternativa di governo, non può permettersi di fermarsi in un limbo indefinito. Non può rompere un’esperienza ardua (una volta deliberata e in nome della stabilità di governo come valore in sé: proprio in questo Berlinguer innovò rispetto alla tradizione comunista occidentale) senza aver prima ottenuto la posta in gioco di una politica costosa e anche molto impopolare: l’ingresso a pieno titolo nel governo.
La rottura della solidarietà nazionale, senza la piena legittimazione del Pci, segnò la fine della prima repubblica, perché favorì la genesi del regime stagnante e regressivo del pentapartito. Rimane vero quello che dice Liguori, e cioè che l’iniziativa di massa e le grandi mobilitazioni operaie restituirono credito al Pci e regalarono una simpatia enorme al suo leader che, spesso in minoranza negli organismi dirigenti, aveva imboccato “una strada solitaria”. Però, con le oscillazioni tra il governo “degli uomini capaci”, le nuove sensibilità rosso-verdi e le simpatie per i guerriglieri e sacerdoti del Guatemala, il Pci si aggrappava ad una zolla di accanita resistenza e viveva un appannamento strategico. Il ripartire dal sociale per “la riconquista della classe”, scelta quasi inevitabile dopo la rottura brusca del 1979, era anche un segno di difficoltà teorica (good bye Lenin?).
Quella “politica sempre più per issues”, che Liguori presenta come un momento di innovazione positiva, in realtà era anche il segnale ineludibile di una mentalità “post-materialista” diffusa ormai in tutto l’Occidente che enfatizzava con il lessico dei diritti una usura della identità comunista o anche socialdemocratica. Politiche per i diritti civili (per le coppie di fatto, per la nuova sessualità, per l’ambiente) sono cruciali ma non sono di per sé peculiari aspetti o esclusivi ingredienti di una prospettiva comunista: mentre la liberazione della classe operaia sì che lo è. Non è comunque vero quello che oggi si afferma, e cioè che il Pci morì con i funerali di Berlinguer.
Non si trattava di un partito leaderistico, rammenta Liguori. E quindi neanche la scomparsa di un capo carismatico ne spiega il decesso. Il Pci morì quando il suo splendido edificio barocco, con gerarchie di papi, cardinali, vescovi, preti, credenti non seppe trovare il successore adeguato. Affidando il comando a Occhetto, sedotto proprio dalla sua politica per issues (carovane, club, legge elettorale, referendum sulle preferenze e sul finanziamento pubblico, rimozione di Togliatti etc.), il gruppo dirigente del Pci non aveva saputo scegliere l’erede con la cultura giusta, e quindi con i secondi funerali di Togliatti aveva chiuso davvero la bottega oscura.

 

Novant’anni dopo Livorno. Il PCI nella storia d’Italia. Alexander Höbel, Marco Albeltaro. Editori Riuniti 2015

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A poco più di novant’anni dal Congresso di Livorno, che diede inizio alla storia del Partito comunista italiano, e a oltre venti dal suo scioglimento, questo libro si propone di esaminare alcuni momenti essenziali di quella importante esperienza storica. Dagli anni del fascismo e della clandestinità, allorché il Pcd’I rimase di fatto l’unica forza organizzata in Italia, al ruolo di primo piano svolto nella Resistenza; dalla nascita del «partito nuovo» di Togliatti allo sviluppo degli anni Sessanta, dai successi e dalle contraddizioni degli anni di Berlinguer alla crisi successiva, il Pci è stato per 70 anni un protagonista della storia politica e civile italiana. Sciolto nel 1991, la sua memoria è stata rimossa e spesso deformata, ed è oggi quasi assente dal senso comune della «seconda Repubblica». Il presente volume, frutto di due convegni promossi nel 2011 dall’Associazione Marx XXI, cui si sono aggiunti i contributi di altri autorevoli studiosi – da Aldo Agosti a Renzo Martinelli, da Claudio Natoli ad Albertina Vittoria – intende fornire un contributo alla conoscenza e alla ricostruzione critica di quella esperienza, troppo frettolosamente accantonata, e che invece offre ancora molti spunti preziosi a chi si batte per la trasformazione dell’esistente e in particolare alle nuove generazioni.

Alexander Höbel (Napoli, 1970) è dottore di ricerca in storia e si occupa in particolare di storia del movimento operaio e comunista. Ha pubblicato vari saggi sulla storia del Pci, ha curato il volume Il Pci e il 1956, La Città del Sole 2006, ed è autore dei libri Il Pci di Luigi Longo (1964-1969), Edizioni scientifiche italiane 2010, e Luigi Longo, una vita partigiana (1900- 1945), Carocci 2013. Collabora con la Fondazione Istituto Gramsci e con la Fondazione Luigi Longo. Coordina il Comitato scientifico dell’associazione Marx XXI.

Marco Albeltaro (Biella, 1982) è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Culture, politica e società dell’Università di Torino. Oltre a numerosi saggi in riviste italiane e straniere, ha pubblicato: L’assalto al cielo. Le ragioni del comunismo, oggi (a cura di, La Città del Sole 2010); La parentesi antifascista. Giornali e giornalisti a Torino (1945-1948) (Seb27 2011), Le rivoluzioni non cadono dal cielo. Pietro Secchia, una vita di parte(Laterza 2014). È redattore di Historia Magistra. Rivista di storia critica. Nel 2012 gli è stato conferito il Premio Nicola Gallerano.

 

INDICE

7 Introduzione di Alexander Höbel e Marco Albeltaro

 

Parte I Un partito rivoluzionario negli anni della reazione

17 Domenico Losurdo «Marxismo occidentale» e «marxismo orientale»: una scissione infausta

51 Renzo Martinelli Livorno 1921. Nasce il Partito comunista

71 Gianni Fresu Gramsci, dal Congresso di Lione ai Quaderni: il partito e l’analisi della società italiana

87 Marco Albeltaro Fare politica nonostante il fascismo. Appunti sulla «svolta»

131 Claudio Natoli Il movimento comunista e il fascismo nell’Europa tra le due guerre

166 Delfina Tromboni Il Partito comunista e le donne: «questione femminile» o questione maschile? Prime note sull’organizzazione delle donne comuniste (1921-1947)

 

Parte II Il Pci tra costruzione della democrazia e guerra fredda

201 Ferdinando Dubla Il Partito comunista nella Resistenza (1943-45)

222 Ruggero Giacomini Dalla Resistenza alla «democrazia progressiva». Un partito di massa per l’Italia repubblicana

235 Salvatore D’Albergo La funzione costituente del «Partito nuovo»

263 Albertina Vittoria Il Pci e gli intellettuali. La politica culturale dei comunisti e l’Istituto Gramsci dal dopoguerra alla morte di Togliatti

291 Giorgio Inglese Un «intellettuale organico». Ricordo di Carlo Salinari

 

Parte III Dal consolidamento alla liquidazione

297 Alexander Höbel Pci, centro-sinistra, programmazione democratica. Come incidere nella realtà stando all’opposizione

314 Vittorio Gioiello Nella crisi degli anni Settanta. I nodi della segreteria Berlinguer

341 Gaetano Bucci Il Pci e la questione dello Stato

351 Guido Liguori La fine del Pci: un esito evitabile?

360 Fausto Sorini e Salvatore Tiné Alle origini della Bolognina e della «mutazione genetica». Un contributo per tenere aperta la riflessione storica

387 Aldo Agosti L’«età dell’oro» della storiografia sul Partito comunista italiano (1960-1989)

 

408 Gli autori

415 Indice dei nomi