Storici comunisti e storia del Pci di Guido Liguori

Ha fatto benissimo la Fondazione Istituto Gramsci a organizzare il 4 aprile a Roma un convegno per ricordare Paolo Spriano a venticinque anni dalla morte, chiamando al lavoro studiosi come Agosti e Santomassimo, Albertina Vittoria e Leonardo Rapone, Albeltaro, Masella e altri. Non solo perché Spriano è l’autore della monumentale Storia del Partito comunista italiano di tanti altri libri sul movimento operaio e su Gramsci. Il convegno è stato opportuno anche e soprattutto perché ha ricordato autorevolezza e ruolo della storiografia comunista in Italia negli anni ’60 e ’70 in un momento in cui è di moda – ed è un segno dei tempi – farne carne di porco.

Spriano, proveniente dalla Resistenza e dal giornalismo militante, ha iniziato il suo lavoro di storico – destinato a un grande successo di critica e di pubblico – all’inizio degli anni ’60, dopo che Togliatti aveva chiuso la stagione agiografica della storia del partito soprattutto con il saggio su La formazione del gruppo dirigente del Pci, scritto nel 1960. Come ha ricordato Santomassimo, fu l’Einaudi a chiedere a Spriano, già distintosi per alcuni lavori sul socialismo torinese, di prendere il posto di Roberto Battaglia, gravemente malato dopo essere stato incaricato dalla casa editrice torinese di scrivere la storia del Pci. Il successo fu immediato, fin dal primo volume. Esplose una passione di massa per la storia dei comunisti. Si moltiplicarono, accanto agli studi scientifici, i libri di memorialistica, utilissimi e preziosi, ma sicuramente di tipo diverso rispetto alla ricerca storica di Paolo Spriano.

La ricerca di Spriano è universalmente apprezzata per lo spirito critico, per la problematicità, per lo scrupolo addirittura accademico, per la decisione con cui non teme di correggere leggende storiografiche e di esibire verità scomode. È indicata come modello storiografico dallo stesso Hobsbawm. E non ricerca mai, né riceve, l’avallo degli organismi di partito. Lo stesso Spriano ebbe a dire che avrebbe potuto evitare qualche errore se avesse fatto leggere preventivamente le sue opere dai dirigenti del Pci prima della pubblicazione, cosa che non fece per evitare qualsiasi tipo di intromissione. Né il Pci di quegli anni volle mai avere – anche in campo storiografico, come in campo filosofico, ecc. – una “verità di partito”.

Ovviamente i lavori di Spriano ricevettero anche critiche e sollevarono discussioni, soprattutto dentro il Pci e anche da parte di altri storici comunisti di valore. Come è giusto che sia in una discussione di livello scientifico. A riprova che non si trattava di una storia addomesticata, né scritta per compiacere il “principe”. Insomma, non una «storia sacra», come di recente ha sostenuto Luciano Canfora, cercando di squalificare insieme a Spriano, accusato addirittura di manomettere gli archivi come in una spy story cinematografica, quasi l’intera storiografia comunista. Ma i grandi storici comunisti – oltre a Spriano, ricordiamo almeno Ragionieri, Franco De Felice, Gastone Manacorda, Procacci, solo per citare gli studiosi purtroppo scomparsi – non erano esecutori delle direttive del Pci. Contribuivano semmai a definire la cultura del partito e la sua identità, e dunque, indirettamente ma in modo sostanziale, anche i suoi orientamenti politici di fondo. Oggi i partiti non si nutrono più di ricerca storica – e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Proprio la ricchezza del dibattito, la differenza delle posizioni, le polemiche di allora testimoniano della libertà della ricerca e del dibattito. Vi possono essere stati errori, dunque, ma non in nome di presunte “verità di partito”. Anche su questo aspetto il Pci è stato diverso, ha percorso un’ altra strada rispetto a quella seguita dai maggiori partiti comunisti, al modello rappresentato dal Breve corso di storia del P.C.(b) dell’Unione Sovietica. La storiografia odierna – per i maggiori documenti a disposizione – può anche conseguire a volte risultati più avanzati, come accade nella ricerca scientifica. Ciò non dovrebbe autorizzare però a insultare storici della levatura di Spriano e degli altri storici comunisti degli anni ’60 e ’70. Sia perché non è detto che chi si erge oggi a giudice consegua nello specifico suo lavoro risultati migliori, sia perché si dovrebbe stare attenti a non unirsi al coro di quanti oggi insultano, e non disinteressatamente, la storia e la storiografia del Pci. Il loro scopo è soprattutto quello di distruggere la memoria e la storia di una parte politica protagonista della scrittura della Costituzione e della costruzione della democrazia nel nostro Paese. Spesso si vuole delegittimare le prime, la storia e la storiografia comunista, per demolire le seconde. Viene il sospetto che la partita che ancora una volta si vuole giocare sul tavolo storiografico sia soprattutto politica. Un «breve corso» alla rovescia, in cui si insinua che il Pci è sempre stato una banda di spie e che i comunisti migliori, in primo luogo Gramsci, erano in realtà liberali. Insomma, anche loro non sarebbero mai stati comunisti…