Prendendo di petto la mia introduzione alla giornata di studio su Marx e il capitale come rapporto sociale del 18 ottobre scorso all’Università Roma Tre, Franco Bianco dichiara: a) che «Ciofi pensa ancora che il lavoro sia quello dell’epoca fordista»: b) che le analisi di Marx «non sono più, oggi, né valide né applicabili».
Per quanto mi riguarda, ho sempre sostenuto, e continuo a sostenere, che per effetto della rivoluzione elettronica e digitale cambia la nozione stessa del tempo e dello spazio, e quindi il modo di lavorare e di vivere, con una diffusione enorme del lavoro cognitivo e intellettuale. E con tutte le conseguenze che ciò comporta sul terreno sociale e politico.
Per quanto riguarda Marx, si tratta di stabilire cosa sia il capitale oggi, nell’epoca della sua dittatura, come ha scritto un famoso politologo americano. Se sia un dato puramente tecnico, come ritiene FB, o se invece, come sosteneva l’autore del Capitale, sia un rapporto tra gli esseri umani storicamente determinato in continua evoluzione in conseguenza delle continue conquiste della scienza e della tecnica.
Nel quale una minoranza monopolizza i mezzi di produzione, di comunicazione e di scambio con lo scopo di ottenere un profitto. Mentre la stragrande maggioranza monopolizza solo le proprie soggettive capacità fisiche e intellettuali, la forza-lavoro messa in vendita in cambio dei mezzi per vivere. Un sistema che si regge sullo sfruttamento di esseri umani da parte di altri esseri umani sulla base di determinati rapporti di proprietà.
Si domanda retoricamene il puntuto critico di Carlo Marx: ma il plusvalore è un male in sé? La risposta è semplice. Il plusvalore è il fondamento della accumulazione capitalistica in questo sistema in cui le innovazioni scientifiche e tecnologiche servono per intensificare il lavoro ed estendere lo sfruttamento. Con il risultato di concentrare profitti e ricchezza, e di accrescere enormemente le disuguaglianze diffondendo precarietà e insicurezza.
Non è scritto da nessuna parte che debba essere così. E tanto meno nella nostra Costituzione. Ma oggi la digitalizzazione del capitale ha prodotto big della finanza globalizzata e della comunicazione come Facebook, Google, Apple, Amazon, che non solo sfruttano il lavoro in tutte le sue forme, ma monopolizzano le conoscenze e il sapere, condizionando ogni aspetto della nostra vita. E’ ovvio che la società contemporanea non si riduce a questo, e tuttavia questo è l’aspetto fondamentale che caratterizza oggi il mondo.
Cosa ci dice in proposito FB? La sua tesi è semplice: identificando lo sfruttamento del lavoro con il lavoro fordista, ne consegue che se scompare il lavoro fordista scompare anche lo sfruttamento del lavoro. Una tesi priva di qualsiasi riscontro con la realtà, ma in pari tempo una “scoperta” fantastica a beneficio del dominio del capitale. In Italia acquisita tra i primi dal filosofo soi-disant riformista Biagio De Giovanni, passato dall’analisi del marxismo al servizio del renzismo.
Un testa-coda del pensiero, che però ha avuto due conseguenze distruttive per la vita della maggioranza degli italiani e delle italiane, e per la stessa tenuta della democrazia, da cui non riusciamo a risollevarci. Da una parte, la liquidazione dell’organizzazione e della rappresentanza politica della classe lavoratrice del nostro secolo; dall’altra, la trasformazione della sinistra riformista in una disordinata truppa di complemento al servizio del capitale.
Il barbone di Treviri sosteneva che ogni lotta di classe è lotta politica. E oggi, uno del ramo, il multimiliardario Warren Buffett, sostiene che la lotta di classe esiste e l’hanno vinta loro. Caro Franco Bianco, questa è la realtà. Per uscirne è indispensabile, prima di tutto, capire in che mondo viviamo. Torna la domanda che poco prima di morire ci ha posto Luciano Gallino: «Se la politica la fa il capitale, come si può fare politica per opporsi al capitale»?
Paolo Ciofi
http://www.paolociofi.it