
Esattamente 30 anni fa, il 3 febbraio 1991, veniva posta fine alla vita del Partito comunista italiano. (In questo libro, “La morte del Pci”, recentemente ripubblicato da Bordeaux edizioni, ho raccontato come). Da allora, nonostante vari tentativi, a volte onorevoli, altre volte pateticamente plebei, le classi popolari del nostro paese non sono più riuscite a esprimere una rappresentanza politica che almeno ambisse a guidare il Paese in loro nome, a essere alternativa credibile e reale. Pian piano tutto il sistema dei partiti nostrano è stato triturato dalla borghesia nazionale e internazionale. I “tecnici”, i rappresentanti della mitica “società civile” (economisti, professori, imprenditori, avvocati, banchieri, finanzieri, avventurieri pronti a vendersi al primo sceicco arabo) hanno sostituito i politici, alternandosi alla guida del Paese. Le classi popolari hanno così perso potere, welfare, ricchezza, sicurezza, stabilità. Sono divenute un pugile suonato che tutti possono irridente e derubare. Trent’anni dopo, e cento anni dopo, sarebbe finalmente ora di creare nuovamente un forte, unitario, “arrogante” Partito comunista italiano di massa. Per organizzare la resistenza, per iniziare un’altra storia. Per far resuscitare la politica in Italia.