di Lelio La Porta

Carlo Muscetta, in un poscritto di una lettera all’editore Einaudi, scriveva di aver potuto leggere da Mario Socrate una missiva di Lukács a Togliatti del 9 ottobre 1947, nella quale l’intellettuale ungherese gli chiedeva di interessarsi per la traduzione di una sua opera sulla filosofia moderna: «Ho scritto io stesso l’appunto per la risposta, dicendo che Einaudi è desideroso di pubblicare tutto di lui, è un compagno, ed è l’editore più adatto. Forse con questo colpo sono riuscito a parare la mossa di Mondadori, il cui fiduciario pare che sia Giacomino Debenedetti». Era in corso la disputa fra i due editori per accaparrarsi l’opera del filosofo ungherese la quale, alla fine, fu edita, inizialmente, dall’editore torinese che, attraverso Renato Solmi, incaricò Cesare Cases di prendere i contatti con Lukács per la pubblicazione degli scritti di estetica con il titolo Il marxismo e la critica letteraria. In merito a questo libro, alla traduzione e all’edizione, il germanista italiano invia una lettera al filosofo ungherese il 22 febbraio 1953 alla quale giunge risposta da Budapest l’11 marzo. Mentre la lettera di Cases è riassunta, per motivi determinati dai diritti d’autore, come sottolinea Antonino Infranca nell’Avvertenza al carteggio lukácsiano da lui curato e tradotto, intitolato Lettere agli italiani. Lettere a Cesare Cases, Alberto Carocci, Guido Aristarco, Aldo Zanardo, Elsa Morante (Milano, Edizioni Punto Rosso, 2022, pp. 134), la lettera di risposta di Lukács è riportata integralmente ed è la prima del carteggio.
In una missiva del 6 febbraio 1956 il filosofo ungherese avverte Cases di un prossimo viaggio in Italia che ebbe effettivamente luogo nel mese di maggio, con meta Firenze. Proprio questa lettera consente di ricostruire le giornate fiorentine nel corso delle quali spicca un incontro con Delio Cantimori, del quale questi riferisce a Gastone Manacorda in una lettera del 17 maggio. Va fatto presente che proprio lo storico romagnolo fu fra i primi ad introdurre in Italia Lukács esponendo le tesi centrali di Storia e coscienza di classe, non senza criticarle anche sulla scorta di una nota di Gramsci all’epoca inedita (si tratta di Q11, 34), in un corso di filosofia della storia tenuto a Pisa nel 1946-47, pubblicato con il titolo Interpretazioni tedesche di Marx nel periodo 1929-1945 in Studi di storia (Torino, Einaudi, 1959). La parte dedicata a Storia e coscienza di classe si trova alle pp. 210-27 (per un approfondimento della questione, mi permetto di rimandare a Lukács-Cantomori, Che cos’è il marxismo ortodosso?, a cura di L. La Porta, bordeaux, Roma, 2023). Interessante, soprattutto ai fini della discussione mai sopita intorno al presunto stalinismo del filosofo ungherese, quanto Cantimori scrive a Manacorda: dopo aver sottolineato le numerose conversazioni con Lukács e fatta presente la sua ammirazione per il filosofo, lo storico ricorda come questi ci tenesse a dire che «il compito era di ricominciare da capo, studiando Marx e Lenin, e combattendo la miriade di piccoli Stalin» che andavano affermandosi avendo come modello il dittatore georgiano.
La parte più consistente del volume curato da Infranca è occupata dallo scambio epistolare con Cases che va dal 1953, come già ricordato, al 1970. Oltre che affrontare le questioni legate alle pubblicazioni dei volumi del filosofo in Italia, dalle lettere emergono alcuni particolari da mettere in evidenza intorno alle letture di Lukács. Ad esempio, in una lettera del febbraio del 1958, dichiara di aver letto Il visconte dimezzato di Calvino anche se, paragonato a Le teste scambiate di Thomas Mann, e pur sottolineando la capacità espressiva dello scrittore italiano, non regge il confronto. In una lettera del giugno dello stesso anno confessa di aver lasciato alla moglie Gertrud l’incombenza della lettura del Dottor Zivago e si mostra molto irritato dal fatto che Storia e coscienza di classe sia stato pubblicato in Francia senza un suo preciso coinvolgimento nella vicenda. In una lettera del dicembre del 1958 Lukács esprime un giudizio molto forte su Benedetto Croce scrivendo di non avere «un alto concetto della filosofia» di questi. Forse una resa dei conti con chi, nove anni prima, recensendo Goethe und seine Zeit sui Quaderni della Critica, aveva ridotto il filosofo ungherese ad «un insigne ripetitore…del Marx» che voleva in qualche modo costringere l’opera di Goethe nell’alveo dell’«antitesi di classe» che, invece, secondo il filosofo abruzzese, proprio non aveva spazio negli scritti del grande autore tedesco?
Di notevole importanza storica e politica è la lettera dell’8 febbraio 1962 ad Alberto Carocci, meglio nota come Lettera sullo stalinismo, pubblicata su «Nuovi Argomenti» ed originata da otto domande sullo stalinismo che il giornalista italiano aveva inviato ad intellettuali e politici. Lukács fa presente che le sue brevi e frammentarie note «mostreranno che nel caso Stalin non si tratta affatto (…) di errori particolari e occasionali, ma di un falso sistema di idee che si costituì a poco a poco» e i cui effetti nefasti erano ancora attivi.
Dello scambio epistolare con il critico cinematografico Guido Aristarco, da cui prese avvio la collaborazione del filosofo ungherese con la rivista «Cinema nuovo», va ricordato il riferimento a Chaplin che, pur non essendo mai stato marxista, sottolinea Lukács, grazie al cinema, ha fissato «l’immagine dell’uomo in pericolo, della sua lotta per conservarsi a se stesso» nel mondo della più spietata alienazione e manipolazione.
In ultimo, il volume presenta una lettera del 1963 a Zanardo, condirettore di «Critica marxista», sul giovane Marx e tre lettere del periodo 1968-1970 ad Elsa Morante. Era stato proprio Cases, dieci anni prima, ad alimentare l’interesse di Lukács per l’opera della Morante al punto che, durante la deportazione in Romania dopo la rivoluzione del 1956, il filosofo lesse Menzogna e sortilegio (in una traduzione visto che, per sua stessa ammissione, non frequentava l’italiano). Con la lettera del 30 novembre del 1970, ultima della raccolta, Lukács invita la scrittrice a prendere parte alla campagna da lui avviata in favore della liberazione di Angela Davis. Proprio nell’ambito di questa campagna il filosofo ungherese ebbe uno scambio epistolare con Berlinguer, all’epoca vicesegretario del Pci. Ma altri italiani lo avvicinarono e, seppure non in forma epistolare, ebbero con lui un qualche rapporto: basti ricordare l’incontro a Budapest con Pasolini in occasione della proiezione del Vangelo secondo Matteo, come fatto presente dal curatore e ricordato da István Nemeskürty in un articolo apparso sul n. 10/1996 della «Rivista di studi ungheresi». Questo per sottolineare ancora di più, come scrive Infranca, «la vivacità dell’interesse di Lukács verso l’Italia».