Di Enrico Berlinguer
Il 21 agosto prossimo ricorre il 60° anniversario della morte di Palmiro Togliatti. Per ricordare il grande dirigente comunista scomparso a Jalta nel 1964 pubblichiamo in questi giorni alcuni scritti dedicati al suo pensiero e alla sua opera.
Il seguente brano è la prefazione di Enrico Berlinguer al testo “Palmiro Togliatti. Discorsi alla Costituente. Un’antologia“, a cura di Lelio La Porta (Editori Riuniti, Roma, 2021)

«Lei pensa che sia possibile giungere al socialismo in Italia con metodi parlamentari?», chiedeva il 24 febbraio 1956 il giornalista americano Henri Shapiro a Togliatti che si trovava a Mosca per il XX Congresso del Pcus1. E Togliatti rispondeva: «La possibilità, in generale, esiste. Non c’è dubbio, infatti, che oggi già la maggioranza della popolazione italiana politicamente attiva desidera che vengano attuate profonde riforme delle strutture economiche del Paese, sia nell’industria che nelle campagne. Queste riforme sono a favore della popolazione lavoratrice e vanno, precisamente, nella direzione del socialismo. Questa maggioranza della popolazione italiana politicamente attiva non si esprime però ancora, oggi, in una maggioranza parlamentare. Ma questo potrà avvenire e noi lavoriamo perché avvenga»2.
Ma il giornalista insisteva: «Quali misure pratiche, concrete il Partito comunista italiano adotta o contempla per evitare la guerra e giungere al socialismo con metodi parlamentari?». E così Togliatti: «La prima cosa che noi ci proponiamo, praticamente e sul terreno parlamentare, è di fare tutto ciò che sta in noi per ottenere che si formi una maggioranza parlamentare favorevole alla ulteriore distensione internazionale e a profonde riforme economiche e sociali. Questo sarebbe un primo passo, e un passo che migliorerebbe decisamente la situazione del nostro paese, sia all’interno che nei rapporti internazionali»3.
Poco dopo, nell’aprile del 1956, polemizzando con il compianto Ugo La Malfa sul luogo comune dell’«assoluta dedizione verso le dottrine sovietiche» dei comunisti italiani, per cui questi avrebbero «dimenticato» il Risorgimento e le successive esperienze costituzionali, e, nel corso e alla fine della seconda guerra mondiale, sarebbe venuta a mancare loro «una visione chiara delle strutture di fondo su cui si reggeva la società italiana», Togliatti replicava che poteva prestar fede a tali argomenti soltanto chi, del mondo politico italiano, avesse «dimenticato» (o volesse ignorare) le posizioni prese dal Pci durante la guerra di Liberazione e successivamente. «Avremmo forse propugnato per l’Italia» chiede ironicamente Togliatti, «i Soviet, il Governo di un solo partito, ecc.?… speriamo che l’amnesia dei nostri avversari e critici non sia arrivata al punto di aver loro fatto dimenticare che l’obiettivo posto dal nostro partito a se stesso e al movimento che esso dirige, o contribuisce a dirigere, fu, prima, la repubblica democratica, su base parlamentare; poi, l’avanzata di questa democrazia sul terreno sociale, e, di conseguenza, l’approvazione di una Costituzione programmatica, cioè che contenesse l’affermazione di alcune necessarie e profonde trasformazioni sociali… E approvata la Costituzione, qual è stato sempre l’obiettivo centrale della nostra politica? L’applicazione di questa Costituzione democratica in tutte le sue disposizioni e in tutto il suo spirito»4.
Repubblica parlamentare, Costituzione riformatrice: sono questi per Togliatti, una volta abbattuto il fascismo e liquidata la monarchia, i capisaldi dell’assetto politico-istituzionale e giuridico-sociale, nell’ambito del quale far vivere e far crescere la democrazia nel nostro Paese; sono questi i binari lungo i quali può e deve procedere e svilupparsi la lotta dei comunisti per aprire all’Italia le vie del socialismo.
È ovvio, ma va detto ugualmente, che queste brevi battute che abbiamo riportato sono appena degli spunti, ma chiari e significativi, di una posizione politica, che possiamo ormai chiamare di principio, e di una linea politica generale inequivocabile, che Togliatti renderà via via sempre più precisa e robusta. E i discorsi alla Camera dei deputati – inseparabili, per chi vuol conoscere a fondo la peculiare strategia togliattiana, da quelli che vennero da lui pronunciati nell’Assemblea Costituente – ne costituiscono una ricchissima testimonianza.
Certo, va subito aggiunto, e va sottolineato, che i punti toccati da Togliatti nelle risposte e nella polemica prima accennate gettano luce soltanto su un aspetto del complesso intreccio delle sue riflessioni e della sua elaborazione intorno alla democrazia, alla relazione in cui essa va posta con la lotta per la costruzione di una società socialista, all’assunzione della democrazia fra i valori e gli ideali che appartengono alla classe operaia e dei compiti che da ciò derivano ai comunisti italiani.
E però, questo primo aspetto, questa parte specifica del pensiero togliattiano e delle scelte di fondo che egli compie, relativa al Parlamento e alla Costituzione, è di capitale importanza innovativa della teoria e della prassi del movimento operaio.
Lo è per almeno due motivi principali: innanzitutto perché modifica i termini classici dentro i quali era stato fino ad allora concepito e realizzato il rapporto tra funzione dirigente e rivoluzionaria della classe operaia e forme istituzionali e statali della democrazia e del potere proletario; e, in secondo luogo, perché permette alla classe operaia e al partito comunista di portare la loro iniziativa e di misurare la loro accresciuta forza sociale e la loro più matura capacità politica in una sede e in un campo nuovi (la vita del Parlamento e delle assemblee elettive, l’impegno per l’attuazione della Carta costituzionale), che comportano rapporti, condizionamenti, mediazioni, convergenze, alleanze, battaglie con una serie di forze, di istituti, di correnti ideali e politiche che agiscono, influiscono e pesano nella quotidiana vita della società e dello Stato, negli indirizzi e nei comportamenti delle istituzioni democratiche, e dunque sulle sorti dell’intero paese.
Queste due considerazioni, in specie l’ultima, ci introducono all’altra fondamentale innovazione immessa nella vita del movimento operaio, e negli equilibri politici del Paese, dall’insegnamento e dall’opera di Togliatti: la trasformazione del partito comunista in «partito nuovo». Innovazione, questa, che sta in organico rapporto di complementarità con quella precedente. Infatti, non è separabile il Togliatti leader parlamentare, coartefice della Costituzione democratica e uomo di Stato, dal Togliatti dirigente politico costruttore e guida del Partito comunista italiano.
Si tratta, precisamente, della ideazione e della edificazione di un partito comunista che, per l’estensione e capillarità della sua struttura organizzata, per l’allargamento e l’arricchimento della sua base e composizione sociale, per il suo modo democratico di lavorare e di decidere, e, soprattutto, per la molteplicità dei suoi legami diretti con la classe operaia, con i lavoratori, con gli altri strati della società, diventa un partito comunista non più di ristrette avanguardie, non più iper-ideologizzato e iper-centralizzato, ma un partito democratico di massa, moderno, laico, tollerante. Il «partito nuovo», come egli scrive e dirà a più riprese e in diverse occasioni, è «un partito che rompe con gli schemi di un chiuso classismo corporativo; che respinge ogni posizione di massimalismo avventuristico e parolaio; che non vive di mitiche attese; che esige, nel presente, il lavoro per fare della classe operaia la guida di un grande movimento democratico e rivoluzionario», che lotta «per una radicale opera di rinnovamento della vita nazionale» … «spingendo tutta la società nella direzione del socialismo».
Si evince chiaramente […] che per Togliatti la democrazia vive, si estende, si rafforza non solo per mezzo dell’opera di istituzioni democratiche, ma anche di quella di partiti democratici (e in particolare di quelli di massa), ordinate entrambe all’attuazione e alla realizzazione dei principii e del programma della nostra Costituzione. Ma non ci deve essere confusione: istituzioni e partiti devono muoversi lungo una correlata linea di sviluppo, e tuttavia rimanendo su piani distinti, con funzioni diverse, non interscambiabili.
Togliatti, a questo modo, riprende, porta avanti e comincia ad applicare quella distinzione tra Stato e partito che il Gramsci dei Quaderni del carcere aveva già fatto oggetto di una sua indagine teorica. Questo è un altro importantissimo tratto che differenzia le posizioni del Pci, quanto a concezione della politica e della democrazia, da quelle di molti altri partiti comunisti e operai, e costituisce un’altra innovazione che esso introduce nella corrente ideologia comunista (codificata da Stalin), secondo la quale il partito è la forma suprema (e, in definitiva, totalizzante) della politica, l’organismo che sta sopra ogni altra espressione della società, sopra ogni istituzione, sopra lo stesso Stato.
Qui, come si vede, ci si trova di fronte a una rottura e a un superamento della cristallizzazione della cultura politica e della storia politica a un momento dato e a una situazione data; e si esce dalle formule unilaterali e prevaricanti dell’ideologismo. Ciò hanno fatto i comunisti italiani, diversamente da molti altri partiti, i quali sono rimasti prigionieri di una visione restrittiva, prettamente ideologistica e totalizzante di se stessi, che li conduce a comportarsi presumendo di ridurre alla propria misura la realtà politica e sociale con i suoi fermenti, e di poterla interpretare in modo esclusivo.
Qui in Italia, poi, sono stati proprio altri partiti che – rozzamente calunniando il Pci, imputandogli la volontà di perseguire l’obiettivo di sottomettere a sé lo Stato, la società, le istituzioni, e dunque ignorando le nostre reali posizioni e la nostra effettiva condotta – hanno concepito e vissuto il loro ruolo come «ruolo istituzionale», e così lo hanno esercitato e imposto di fatto in tutta la misura che è stato loro possibile. In tal modo veniva prolungata e resa permanente quella funzione di supplenza, storicamente indispensabile e positiva, esercitata dai partiti nei confronti delle varie espressioni sociali, politiche, istituzionali, culturali, che transitoriamente si giustificava per costruire la democrazia italiana nelle condizioni in cui si trovavano lo Stato e la vita associata nella immediata fase post-fascista e post bellica5. E, nei partiti al governo, quella supplenza diveniva via via sostituzione, occupazione e spartizione dello Stato e delle istituzioni.
Muovendo da quella distinzione generale individuata sul piano teorico di cui si è detto, si dipana e si configura un orientamento politico costante di Togliatti – attuato in una prassi concreta altrettanto costante – riguardo alle istituzioni (e in particolare al parlamento), ai partiti, ai rapporti che debbono intrattenere reciprocamente e nei confronti della società, perché ciascuno possa assolvere correttamente il proprio ruolo specifico.
Oggi si può valutare appieno la validità attuale di questa elaborazione togliattiana. Oggi il Paese è avvilito e piagato dal peso annoso e schiacciante della mancata osservanza di quel fondamentale principio distintivo che dovrebbe ispirare la complessiva vita e azione politica. E proprio oggi, nel contempo, si è fatto più chiaro ciò che ci si deve attendere rispettivamente dallo Stato e dai partiti.
Lo Stato, in tutti i suoi organi, dovrebbe rendersi conto e prendere atto degli sviluppi, dei mutamenti della società, delle sue conquiste, assumerle progressivamente nell’ordinamento giuridico, sancirle in norme legislative certe e stabili, ossia, in una parola, istituzionalizzarle, rendendole, così, generali, di tutti i cittadini, loro bene comune, patrimonio dell’intera nazione e metterle al riparo dai processi involutivi e dagli attacchi reazionari di chi vorrebbe tornare indietro come dagli assalti disgreganti dell’eversione anarcoide e del corporativismo. In tal senso e solo così lo Stato moderno è davvero Stato di diritto, Stato di tutti, Stato democratico.
Dai partiti si esige un’altra cosa, oltre, ovviamente, al rispetto delle regole democratiche e delle leggi che sono uguali per tutti e di fronte alle quali tutti sono eguali. Ai partiti si può riconoscere una funzione primaria nella sfera politica a patto però che essi se la guadagnino e ne siano degni esercitandola correttamente, democraticamente e ponendola al servizio dell’interesse collettivo, generale. Quel primato può divenire reale, può legittimarsi e può, quindi, ricevere consensi solo se i partiti stabiliscono un rapporto diretto e continuo con la società nei suoi diversi strati, con i cittadini; ne interpretano e ne formano la coscienza politica; ne colgono e ne rappresentano i vari bisogni, aspirazioni e ideali; ne organizzano la mobilitazione e partecipazione democratica per individuare e conseguire obiettivi che avviano a soluzione i problemi del Paese in modo da realizzare quelle tappe del progresso politico, sociale e civile che si presentano storicamente mature e possibili.
In altri termini, i partiti possono manifestarsi e conservare la propria funzione primaria in politica solo se riescono a farla essere una funzione dinamica, di movimento, di iniziativa, di invenzione, una funzione che sollecita di continuo lo sviluppo «di tutta la società», come avverte Togliatti, e concretamente lo accelera e lo guida verso «fini che sono comuni in quanto siano necessari, indispensabili per la nazione o per tutta l’umanità», come avverte ancora Togliatti.
Dimensioni distinte e ruoli complementari ma diversi, dunque, quelli dei partiti, da un lato, e quelli delle istituzioni e dello Stato, dall’altro.
Note
1 Cfr. «Intervista di Togliatti», Rinascita, febbraio 1956.
2 Togliatti, in questa stessa risposta, osservava: «Può però accadere che prevalgano, nei partiti che sono contrari a trasformazioni socialiste, quelle correnti che vorrebbero ostacolare il progresso con misure antidemocratiche, con la repressione del movimento operaio e democratico, e persino con la violenza aperta, come tentarono di fare i fascisti. In questo caso è evidente che anche le nostre prospettive sarebbero corrispondenti a questa situazione».
3 Proseguendo, e concludendo, Togliatti affermava: «In gran parte, la rapidità con la quale l’Italia riuscirà a muoversi in questa direzione dipende, oggi, dagli orientamenti del movimento politico cattolico. Ma noi sappiamo che, per lo meno nel nostro paese, i credenti sono interessati, nella loro maggioranza e al pari di noi, al progresso sociale e allo sviluppo pacifico dei rapporti internazionali. Vi è qui una coincidenza che, in un modo o nell’altro, si esprime in misura sempre più grande nella vita politica italiana».
4 Cfr. «La realtà travestita e la realtà com’è», Rinascita, marzo 1956.
5 Nel discorso del 24 luglio 1946 all’Assemblea Costituente, in polemica con Francesco Saverio Nitti, Togliatti disse: «I partiti sono la democrazia che si organizza. I grandi partiti di massa sono la democrazia che si afferma».