Tre lasciti di Enrico Berlinguer

Dall’intervento di Paolo Ciofi al convegno «Berlinguer e i giovani: un’altra idea del mondo», Roma 8 maggio 2014.

ciofi-berlinguer_430vertEnrico Berlinguer è vissuto e ha lottato in un’altra epoca storica. Da allora i cambiamenti sono stati radicali in Italia, in Europa e sull’intero scenario globale, ma i problemi che Berlinguer denunciava – lo sfruttamento della persona umana, la fame nel mondo e i pericoli di guerra, la disoccupazione e la distruzione dell’ambiente, l’oppressione della donna e il disagio giovanile – non sono scomparsi, al contrario si sono per molti versi aggravati. In tale condizione si può e si deve lottare per un civiltà superiore, oltre questa società capitalistica ingiusta e alienante: per una società nuova, di tipo socialista in cui si possano pienamente affermare, attraverso l’espansione della democrazia, i principi di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, posti peraltro a fondamento della nostra Costituzione. Questo ci dice Berlinguer lungo tutto il suo percorso di dirigente comunista. E questo è un suo primo lascito fondamentale: l’idea – direi di più, la teoria e la pratica – della trasformabilità del sistema capitalistico, della società in cui viviamo.

La peggiore sconfitta è quella di non dare battaglia per una causa giusta, per combattere le ingiustizie e le sofferenze del mondo di oggi, che colpiscono soprattutto i giovani, espropriati del presente e del futuro. Perciò occorre contrastare alcune falsificazioni ideologiche che hanno fatto molta strada. Non è vero che dopo il capitalismo c’è un salto nel buio, un buco nero nel quale dovrebbe precipitare l’umanità. La storia non è finita. E le cosiddette leggi dell’economia non sono immodificabili leggi di natura, ma relazioni tra gli esseri umani che attraversano la storia. E dunque si possono cambiare. Oggi è proprio la crisi del capitalismo del XXI secolo, esplosa sul finire del 2007, che oscura il presente e il futuro dell’umanità, e rischia di far precipitare in un buco nero intere generazioni. Secondo l’economista francese Thomas Piketty, autore di un corposo volume intitolato «Il capitalismo del XXI secolo», già diventato un best seller negli Stati uniti e in Inghilterra, le disuguaglianze soffocano la società e stanno distruggendo un’intera civiltà. Per evitare che ciò avvenga – questa è la sua tesi – bisogna fare esattamente il contrario di ciò che le classi dirigenti stanno facendo, vale a dire assecondare i mercati. «La questione centrale è semplice – afferma Piketty su la Repubblica del 6 maggio – la democrazia e le autorità pubbliche devono essere messe nella condizione di poter riacquistare il controllo del capitalismo finanziario e di regolamentarlo in maniera efficace». Di fronte a questa questione di fondo la politica attuale nel migliore dei casi appare impotente. Dunque, occorre cambiare il senso, le finalità e la pratica della politica. E qui interviene il secondo lascito di Berlinguer: c’è bisogno, come lui sosteneva, di una rivoluzione copernicana della politica, a partire dai contenuti. Ciò comporta il rovesciamento della concezione attuale del partito politico, vale a dire l’abbandono di ogni visione elitaria, verticale, padronale. Non più il leader padrone del partito, ma il leader al servizio del partito, di una libera associazione di donne e di uomini che si uniscono per cambiare lo stato di cose presente.

Quindi, la politica come servizio, come impegno sociale, come impegno culturale e morale, non come mezzo di arricchimento e di corruttela per la tutela dei propri interessi personali e di gruppo. In proposito è opportuno ricordare le parole di Togliatti, cui Berlinguer si ispirava: «Fare politica significa agire per trasformare il mondo. Nella politica è quindi contenuta tutta la filosofia reale di ognuno, nella politica sta la sostanza della storia e, per il singolo che è giunto alla coscienza critica della realtà e del compito che gli spetta nella lotta per trasformarla, sta anche la sostanza della sua vita morale. […] Non vi può essere dubbio che la politica, in questo modo intesa, [è]collocata al vertice delle attività umane». Se dunque, come sostiene Piketty, il problema di oggi è mettere sotto controllo il capitalismo finanziario, è ovvio che ciò non si può ottenere se i sistemi politici sono conformati, a livello nazionale ed europeo, sugli interessi della finanza e della grande proprietà capitalistica. La sinistra, in proposto, viene chiamata direttamente in causa. Esiste o non esiste (come sostiene Tony Blair) oggi una differenza tra destra e sinistra? E cosa vuol dire oggi essere di sinistra? Qui emerge, in tutta la sua corposa attualità, il terzo lascito di Berlinguer. Secondo il segretario del Pci essere di sinistra significa stare dalla parte del lavoro, non del capitale; dalla parte degli sfruttati e degli oppressi, uomini e donne; dalla parte degli emarginati, di chi non ha voce né rappresentanza. Di tutti coloro che sono colpiti dalla crisi del sistema e che vivono nella precarietà. Ma anche di quelle figure professionali che emergono dalla rivoluzione scientifica e digitale, che ha cambiato a tutti i livelli i modi di lavorare e di vivere, senza trascurare ampi strati della piccola e media imprenditoria. Berlinguer guardava avanti. Alla domanda come deve affrontare il partito la nuova epoca caratterizzata dalla rivoluzione elettronica, rispondeva così: «Innanzitutto bisogna impadronirsi il più possibile» della conoscenza dei fenomeni nuovi. «Credo che dobbiamo considerare come un dato ineluttabile la progressiva diminuzione del peso specifico della classe operaia tradizionale. […] Alcuni traggono da ciò la conclusione che la classe operaia è morta. Secondo me non è così. A condizione che si sappiano individuare e conquistare alla lotta per la trasformazione socialista altri strati della popolazione che assumono anch’essi, in forme nuove, la figura di lavoratori sfruttati come i lavoratori intellettuali, i tecnici, i ricercatori. Sono anch’essi, come la classe operaia, una forza di trasformazione. E poi ci sono le donne, i giovani… […] Il carattere sociale della produzione (e anche dell’informazione come fattore di produzione) è sempre ancora in contrasto con il carattere ristretto della conduzione economica. Questo assunto di Marx non è smentito neanche dalla rivoluzione elettronica».

paolo-ciofi-con-berlinguer2In conclusione. Per porsi oggi all’altezza delle sfide del nostro tempo, c’è bisogno di un cambio di cultura e di comportamenti. Non si tratta solo di sconfiggere la cultura dell’egoismo proprietario e dell’individualismo esasperato. Tutti noi, vecchi e giovani, dobbiamo riabituarci a lottare, acquistando consapevolezza di noi stessi e abbattendo la gabbia culturale- mediatica in cui siamo stati rinchiusi come cittadini e lavoratori, mediatizzati e declassati al ruolo di subalterni, se non di sudditi che chiedono per favore ciò che ci spetta per diritto. Dal diritto stiamo camminando all’indietro verso la restaurazione della carità e della benevolenza del sovrano, sia esso un manager, un proprietario universale, un finanziere, un capo del governo, un burocrate europeo. Senza la lotta non si ottiene niente, ci insegna Berlinguer. Il quale sosteneva che «non ci può essere inventiva, fantasia, creazione del nuovo se si comincia dal seppellire se stessi, la propria storia e realtà». Seppellire se stessi, la propria storia e realtà, aggiungeva citando Francois Mitterrand, sarebbe «il gesto suicida di un idiota». Occorre dunque dare battaglia sul fronte culturale per recuperare qual filone del pensiero critico e della politica come mezzo di trasformazione della realtà che da Gramsci si dipana attraverso Togliatti e Longo fino a Berlinguer. Il progetto c’è. È la Costituzione, nella quale sta scritto che la principale disuguaglianza risiede nella distribuzione della proprietà, che secondo l’articolo 42 deve svolgere una «funzione sociale», e deve essere resa «accessibile a tutti». Il tema è particolarmente attuale, in un paese nel quale secondo le analisi del Censis il patrimonio delle 10 persone più ricche è uguale a quello di mezzo milione di famiglie operaie.

Con Berlinguer si raggiunge il punto più alto nella lotta, duramente contrastata con tutti i mezzi, per una civiltà più avanzata secondo i principi costituzionali. La sua grandezza stanel tentativo di aprire una via nuova in Europa di fronte alla crisi del capitalismo in Occidente e del socialismo realizzato ad Oriente. Quel tentativo non è riuscito, ma questo non vuol dire che le ragioni di Berlinguer non fossero fondate. Per questo motivo il segretario del Pci non è un nostalgico bene rifugio in tempi di crisi della politica, è una guida per l’azione. Cerchiamo allora di restituire a Berlinguer la caratteristica che gli è propria: quella di essere un moderno rivoluzionario. «Tutte le lotte che noi combattiamo – sono sue parole – tendono ad affermare una nuova gerarchia di valori, che abbia al centro l’uomo e il lavoro umano, che esalti le virtù più alte e serie dell’uomo: la solidarietà, l’uguaglianza, la libertà, la giustizia». Oggi viviamo dentro una contraddizione clamorosa: siamo in presenza di una pletora di “innovatori”, i quali si sbracciano in tutti i modi per conservare il sistema sociale esistente, che opprime, impoverisce e sfrutta milioni di esseri umani. Al contrario, c’è bisogno di un rivoluzionamento della società, e che i giovani si impadroniscano della propria vita e della costruzione consapevole del proprio destino. Tornano di particolare attualità le parole di Gramsci: istruitevi perché c’è bisogno di tutta la vostra intelligenza, organizzatevi perché c’è bisogno di tutta la vostra forza.

“Berlinguer e i giovani: un’altra idea del mondo” Incontro con gli studenti di Roma Tre

Seminario-Convegno svolto nell’Aula Volpi dell’Università Roma Tre l’8 maggio 2014 sul tema “Berlinguer e i giovani: un’altra idea del mondo”

Relazioni

Le idee-forza del comunismo di Enrico Berlinguer – Guido Liguori

I “pensieri lunghi” di Enrico Berlinguer su innovazione tecnologica e futuro dell’umanità – Gennaro Lopez

Tre lasciti di Berlinguer – Intervento conclusivo di Paolo Ciofi

VIDEO 

Il compromesso storico di Berlinguer. Contributo ad una interpretazione

Di Gianni Ferrara intervento al convegno sul tema “Berlinguer e la serietà della politica”, Roma 11 febbraio 2014, organizzato dall’Associazione Futura Umanità, in occasione dell’anno berlingueriano.

Enrico Berlinguer

1. La parola “compromesso” ha segnato due volte la storia del PCI. Si può pensare che la ragione di questa ricorrenza sia da attribuire all’essere il compromesso un topos centrale della politica e quindi della democrazia moderna. Perché si connette al conflitto del quale è sospensione, cadenza, soluzione più o meno equa, più o meno duratura. Percorre la storia d’Italia come quella di ogni altra Nazione. Se ne tratta in questa sede partendo da alcune premesse.
Va innanzitutto ricordato che il termine compromesso fu usato negli anni 1948-1950 in polemica col PCI per degradare sia il contributo di questo partito alla ideazione, determinazione e formulazione della Costituzione della Repubblica sia la Costituzione stessa. Suonava come cedimento o come mascheramento. A rispondere provvide Togliatti spiegando che c’era stata “una confluenza di due grandi correnti: del solidarismo umano e sociale della sinistra e del solidarismo di altra origine (cristianosociale)” che arrivava “nell’impostazione e soluzione concreta di diversi aspetti del problema costituzionale a risultati analoghi” della sua parte politica”. Aggiungendo che “definire come compromesso questa confluenza significa non comprendere che si sia trattato di qualcosa di molto più nobile ed elevato e cioè della ricerca di quella unità che è necessaria per poter fare la Costituzione non dell’una o dell’altra ideologia, ma la Costituzione di tutti i lavoratori italiani e, quindi, di tutta la Nazione”. (1) Per quanto poteva poi attenere al termine “compromesso”, Togliatti lo usò immediatamente dopo qualificando “deteriore” quello raggiunto nel formulare alcune disposizioni della Carta costituzionale. (2)

Su tutt’altro piano, sempre riferendomi a Marx, mi preme ricordare che il secondo capitolo del “Manifesto”, quello intitolato “Proletari e Comunisti”, si chiude con la previsione-obiettivo di un tipo di “associazione umana in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti”.
Ebbene, la nostra Costituzione impone alla Repubblica, quindi a tutto lo statoapparato e a tutto lo stato-comunità come unico e supremo compito proprio quello di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. La corrispondenza tra questi due testi è perfetta. Fu voluta. A proporla all’Assemblea costituente italiana fu quel marxista di Lelio Basso concordandola con quell’altro marxista di Palmiro Togliatti. Ma fu accolta e sottoscritta da Dossetti e da La Pira, aderenti al cristianesimo sociale ed esponenti della Democrazia cristiana. Continua a leggere “Il compromesso storico di Berlinguer. Contributo ad una interpretazione”

Togliatti e la Costituzione della Repubblica democratica fondata sul lavoro

Cronaca dell’iniziativa “Togliatti e la Costituzione della Repubblica democratica fondata sul lavoro” scritta per il quotidiano “il manifesto” da Aldo Garzia

La sua storia e l’eredità politica in un convegno a Roma. Sala del Teatro de’ Servi, via del Tritone a Roma, affollata per il convegno dal titolo “Togliatti e la Costituzione” promosso dall’Associazione Futura Umanità. Tocca subito a Giampasquale Santomassimo tratteggiare la complessa personalità di Togliatti. Lo fa iniziando da un particolare biografico poco conosciuto: “Negli anni 1922-1923, mentre il fascismo si insediava, scomparve e fu Umberto Terracini a chiedergli di farsi vivo. Togliatti passava le giornate studiando, pensando a una seconda laurea e a risolvere il dubbio esistenziale sulla politica come vera vocazione. Togliatti non fu un totus politicus”. Parte da qui una ricostruzione che spiega come il leader comunista fu eletto segretario del Pci solo nel 1946 diventandone ben prima il leader indiscusso, dopo essere stato in Spagna nel corso della guerra civile di fine anni trenta dove imparò sul campo come si debba rispondere al tema delle alleanze sociali e della democrazia, se non si vuole essere sconfitti; poi fu in Francia dove apprese la lezione dei “fronti popolari”. La tesi di Santomassimo è che quel Togliatti che arriva in Italia alla caduta del fascismo è un politico a tutto tondo: aveva nella sua esperienza già accumulato tutte le riflessioni di quella “via italiana al socialismo” e di quel “partito nuovo” che segneranno così fortemente la storia della democrazia italiana e del Pci.

Dall’osservatorio del Teatro de’ Servi, sembrano lontani i tempi in cui Togliatti era personaggio divisivo sia nel confronto tra Pci e Psi (gli anni del craxismo), sia all’interno del Pci (21 agosto 1989, l’articolo dal titolo “C’era una volta Togliatti” su “l’Unità” a firma del filosofo Biagio De Giovanni), sia ancora nel rapporto tra alcuni gruppi della nuova sinistra sessantottina e la politica togliattiana. Nel convegno, tra relazioni e interventi, affiora invece un forte bisogno di togliattismo, inteso come strategia e progetto sociale. Gianni Ferrara, nella sua relazione, propone per esempio l’affascinante tesi di Togliatti “rivoluzionario costituente”, ricordando che fu il solo dei segretari di partito dell’Assemblea costituente che volle far parte della Commissione dei 75 a cui fu affidato il compito di elaborare il progetto di Costituzione. Ferrara ricorda che Togliatti era un giurista. Ciò gli permise di giocare un ruolo di primo piano perfino nella formulazione dei singoli articoli contribuendo a quella vera rivoluzione culturale che fu far poggiare la Carta sulla centralità del lavoro e dei lavoratori ponendo la questione della proprietà in termini nuovi.Palmiro Togliatti
Molti interventi sviluppano approcci particolari alla “questione Togliatti”. Piero Di Siena ricorda come proprio la strategia togliattiana pose in termini inediti il tema dell’unità nazionale. Poi analizza le ultime tappe di riflessione di Togliatti: il discorso a Bergamo del marzo 1963, quando rivolse l’invito ai cattolici al dialogo sui “destini dell’uomo”; il Memoriale di Yalta dove affiora la consapevolezza della crisi del socialismo reale. Luciana Castellina ricorda il Togliatti della svolta di Salerno di fine marzo 1944 che gettò le basi del “partito nuovo e di massa” e dell’accettazione della democrazia come terreno d’azione: “Per lui, il partito era innanzitutto rappresentanza sociale”.
Paolo Ciofi, presidente dell’associazione che ha promosso il convegno, analizza le novità contenute nella strategia della “via italiana al socialismo” e nella Costituzione dove “la società dei proprietari cede il passo alla società dei lavoratori”. Sono sufficienti alcune citazioni di Togliatti nella fase costituente per cogliere la svolta politica: “Siamo democratici in quanto siamo non soltanto antifascisti, ma socialisti e comunisti. Tra democrazia e socialismo non c’è contraddizione”. Ciofi spiega la rivoluzione concettuale operata dal leader comunista su un punto fondamentale: “Libertà del lavoro e libertà della persona si intrecciano, giacché il lavoro, in una sintesi inedita che non contrappone la classe all’individuo, è considerato come fattore costitutivo della personalità”. La democrazia che si organizza, come amava ripetere Togliatti, conclude Ciofi, prende forma con i partiti di massa e si dispiegherà nel progetto di nuova società che non esclude compromessi con l’avversario.
Emanuele Macaluso, autore di un recente libro dedicato a Togliatti, esprime subito una tesi netta: “Senza di lui ci sarebbe stato comunque un partito comunista in Italia ma non avremmo avuto la democrazia italiana. Va riconosciuto senza tentennamenti il ruolo di Togliatti nella storia repubblicana. La straordinaria strategia togliattiana va però in crisi definitiva nel 1989, quando cade l’Urss. Lui aveva mantenuto quel legame e non lo aveva rotto del tutto neppure Enrico Berlinguer che nel 1983 era stato vittima in Bulgaria di un incidente che interpretò come un tentativo di farlo fuori fisicamente”. Quanto all’attualità, Macaluso invita a non rigettare ipotesi di riforma della Costituzione: “Servono i partiti di massa, servono le riforme per far funzionare meglio la democrazia”.
Argomenta Mario Tronti “Togliatti è la politica, chi vuole fare politica a quella scuola deve andare e chi vuole pensare la politica deve fare altrettanto. La Costituzione fu un miracolo politico. Il compromesso, del resto è una modalità della politica, proprio come lo è il conflitto. Oggi è l’assenza dei partiti uno dei mali della situazione”. Secondo Aldo Tortorella, le modalità della svolta occhettiana del 1989 impedirono al Pci di riflettere su se stesso e sui propri errori: “Fummo posti seccamente di fronte a un sì o a un no, senza la possibilità di discutere sul perché avevamo perso. Togliatti e la sua generazione si erano arrovellati sull’avvento del fascismo come regime reazionario di massa”. Dice Tortorella: “Non ci accorgevamo dei cambiamenti della società italiana, non avvertivamo la necessità di rielaborare un programma. Io non mi assolvo, perché ho svolto funzioni dirigenti”.

(da “il manifesto”, 9 novembre 2013)

 Registrazione audio iniziativa:
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Video iniziativa: 
http://libera.tv/2013/11/11/togliatti-e-la-costituzione-labaro-tv/

La registrazione contiene l’apertura dei lavori di Gennaro Lopez. Le relazioni di Giampasquale Santomassimo: “Togliatti verso la Costituzione. Il partito di massa e la democrazia progressiva”; di Gianni Ferrara: “Togliatti costituente. La centralità del lavoro e la questione proprietaria”; di Paolo Ciofi “Togliatti e la via costituzionale per la trasformazione della società: democrazia e socialismo”. Oltre alle relazioni ci sono tutti gli inteventi del dibattito.

Sono intervenuti: Gennaro Lopez (presidente Associazione “Proteo Fare Sapere”), Giampasquale Santomassimo (storico), Alexander Hobel (storico Fondazione Luigi Longo), Carlo Felice Casula (storico), Renzo Martinelli (regista), Angelo Rossi (segretario di LiberAperta, Associazione politica liberale e libertaria di Arezzo), Gianni Ferrara(costituzionalista), Dino Greco (direttore di Liberazione), Piero Di Siena (giornalista), Andrea Catone (componente dell’Associazione Marx ventuno), Luciana Castellina (vicepresidente di EUROVISIONI), Sergio Caserta (consulente aziendale), Paolo Ciofi (presidente Futura Umanità), Emanuele Macaluso (direttore de “Le nuove ragioni del socialismo” e collaboratore de “il Riformista”), Mario Tronti (presidente del Centro di Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato), Aldo Tortorella (presidente onorario dell’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra).