Articolo di Guido Liguori – Sull’Unità del 20 maggio 2013
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Emanuele Macaluso ha criticato la manifestazione della Fiom di due giorni prima. Questo, conoscendo Macaluso, non sorprende. L’articolo in questione è interessante soprattutto per un altro motivo: come spesso gli capita, l’ex dirigente del Pci fa numerosi riferimenti alla storia di quello che per tanti decenni è stato il suo partito. Ed è questo aspetto che più attira l’attenzione, ma anche che lascia maggiormente perplessi.
Scrive Macaluso, a proposito delle polemiche sulla “non partecipazione” di Epifani o di altri dirigenti del Pd alla giornata di lotta del 18: «Negli anni della guerra fredda e dell’opposizione dura della sinistra ai governi centristi, Togliatti, Nenni, Longo, De Martino, Amendola e Lombardi non partecipavano alle manifestazioni della Cgil o della Fiom. E non vi partecipava Berlinguer. Nel corso dello scontro durissimo sul decreto della scala mobile (1984), quando la Cgil fece la grande manifestazione di piazza San Giovanni, Berlinguer – come testimonia la famosa foto con Enrico che espone l’Unità con il grande titolo “Eccoci”… – era con i cittadini che assistevano alla sfilata del corteo sindacale…».
Su questi frammenti di “memoria storica comunista” vorrei avanzare alcune osservazioni critiche. La prima è di metodo. Troppo di frequente capita di leggere affermazioni – di ex-dirigenti, intellettuali o semplici militanti, sui giornali e ancor più sul web – che tendono a giustificare o condannare qualche azione presente alla luce degli esempi del passato. È operazione rischiosa. Perché la “contingenza” storico-politica è sempre determinata da moltissime varianti, da moltissimi fattori, per cui un momento è in realtà sempre diverso da un altro, solo apparentemente uguale. E dunque in ogni momento storico bisogna cercare di distinguere le “costanti” (che però si riferiscono per lo più ai rapporti tra le forze sociali) dalle variabili, dai «rapporti di forza» politici, per richiamare una espressione di Gramsci.
Il quale per questo parlava di «filologia vivente» a proposito dell’analisi della realtà politica, per mettere in guardia contro le generalizzazioni. In particolare . poiché il fattore “tempo” esiste e non va dimenticato – ritengo che non si possano paragonare opzioni politiche apparentemente uguali quando tra esse intercorrono svariati anni o addirittura decenni. Ad esempio, come quando si pretende di proiettare la politica di unità nazionale (e di “compromesso”) del dopoguerra sulle scelte degli anni Settanta o persino sul sostegno all’attuale governo: sono semplificazioni che non convincono dal punto di vista culturale e che spesso sono dettate da pure strumentalità politica.
Per venire poi al merito delle posizioni espresse da Macaluso, sia permesso di avanzare anche qui più di una osservazione. Togliatti non andava ai cortei sindacali? Si dimentica il fatto che allora i legami fra partito e sindacato erano ben diversi dagli attuali, che i leader della Cgil erano del tutto interni ai partiti di sinistra e che la “divisione dei ruoli” in piazza era supportata e resa possibile prima di tutto dal fatto che i dirigenti comunisti erano uniti fra loro da un legame (di partito) che prescindeva completamente dai rispettivi ruoli. Ai tempi di Berlinguer le cose erano già in parte diverse, gli anni Sessanta avevano posto fine all’assoluta sovrapposizione di partito e sindacato. È però errato neutralizzare, come tenta di fare Macaluso, la memoria storica di quello che fece l’”ultimo Berlinguer” per ritrovare la «connessione sentimentale» con gli operai e i lavoratori in genere, dopo glie errori della “solidarietà nazionale”. Proprio la storica foto di Berlinguer alla manifestazione per la difesa della scala mobile che Macaluso ricorda lo testimonia egregiamente: Berlinguer era lì esattamente per dire “sono/siamo con voi”, non per “assistere” alla “sfilata” come un qualsiasi “cittadino”. E ve lo vedete Epifani che va a salutare in modo analogo gli operai in lotta? Forse le reazioni sarebbero state diverse da quelle (entusiastiche, davanti a Berlinguer) di trent’anni fa, ma sarebbe stato comunque un gesto politico significativo. Che invece non c’è stato. E forse è stato meglio, se ne è guadagnato in chiarezza. Si pensi poi al noto episodio – che Macaluso non ricorda nell’articolo in questione – della visita del segretario del Pci ai cancelli della Fiat, quando assicurò agli operai in lotta tutto il suo appoggio anche se gli operai avessero deciso l’occupazione della fabbrica! Se allora tutto il suo partito lo avesse allora seguito, forse quella lotta non sarebbe stata persa…

In definitiva, al di là della presenza o non presenza fisica dei dirigenti di un partito tra i lavoratori in lotta, il problema è un altro: come si colloca questo o quel partito rispetto ai movimenti sociali, in primo luogo alle lotte operaie e sindacali? Il Pci quasi sempre seppe essere interno a quelle lotte e ai quei pezzi di società, ai lavoratori e alle masse che intorno a loro si stringevano, perché aveva una visione di classe della società, anche se – per fortuna – non in senso economico-corporativo. Nel 1989-1991 fu fatta invece dalla maggioranza del gruppo dirigente del Pci una scelta diversa, si abbandonò prima in linea teorica e poi di fatto tale visione di classe e il partito che si fece erede del Pci dopo averlo soppresso abbandonò pian piano ma inesorabilmente la sua internità ai processi sociali e al mondo del lavoro. I frutti sono davanti agli occhi di tutti, non solo in termini di disgregazione e disperazione sociale, ma anche in termini di rappresentanza politica della classe operaia. Che non c’è più.