Il comunismo di Gianni Borgna

Articolo di Paolo Ciofi
Gianni Borgna l’ho incontrato l’ultima volta l’8 novembre scorso in occasione del convegno su Togliatti e la Costituzione, che aveva contribuito a preparare con grande passione. Stava già molto male, ma aveva voluto esserci. E si era impegnato in prima persona perché il convegno si potesse svolgere non in una sede riservata a pochi specialisti, bensì in un luogo aperto a tutti come il teatro de’ Servi. Il successo dell’iniziativa gli aveva dato ragione, ne era contento e aveva voluto esprimermi la sua soddisfazione.

Si considerava un «togliattiano» a tutto tondo. Gramsci e Togliatti erano i solidi fondamenti politico-teorici su cui, a cominciare da Marx, aveva sedimentato una formazione culturale in progress molto ricca, multidisciplinare e aperta sul futuro, in grado di cogliere aspetti inediti della modernità. Quando gli prospettai l’idea di costituire un’associazione per la storia e la memoria del Pci come Futura Umanità, con l’intento di contribuire a rifondare un pensiero critico e una pratica politica trasformatrice della società, ne fu entusiasta e fu tra i fondatori di questa impresa contro corrente.
Parlammo a lungo di Berlinguer, dei progetti da mettere in campo, e lui mi rivelò di essere concentrato su una grande mostra internazionale dedicata a Pasolini e su un lavoro di decostruzione critica del percorso senza sbocchi che dallo scioglimento del Pci ha portato all’autodafé della sinistra. Adesso che la luce si è spenta mentre era in cerca di nuove strade, dopo che si era opposto alla scelta della Bolognina perché temeva – sono sue parole – che si potesse «perdere quello che il Pci aveva rappresentato come comunità tesa a migliorare il proprio e l’altrui destino», avverto un senso doloroso di vuoto e di tristezza, accompagnato dal rammarico per non avergli potuto rivolgere l’ultimo saluto.
Ci ha lasciato un persona gentile dalla schiena dritta e dalla onestà specchiata che ha onorato la politica, un amministratore competente e totalmente dedito all’interesse pubblico, uno straordinario organizzatore e divulgatore di cultura, un intellettuale colto e rigoroso, rispettoso di tutti gli orientamenti ma fermamente convinto che cultura vuol dire impegno per l’elevazione e la liberazione di grandi masse e non strumento per la loro oppressione e subalternità. Era uno «specialista più politico» se vogliamo usare la formula gramsciana, formato alla scuola politica del Pci, la più alta che l’Italia abbia mai avuto secondo Indro Montanelli. Il contrario del politico politicante e dello specialista tecnocrate al servizio del business. E anche della pletora di improvvisatori incolti, clintoniani, blairiani e via imitando, che hanno portato la sinistra allo stato di decomposizione in cui si trova.
Avevo conosciuto Gianni negli anni ’70, un periodo tra i più turbolenti ed entusiasmanti della nostra vita nazionale, prima come dirigente della Fgci e poi del Pc romano. Era un «figlio del partito» come me, funzionario a tempo pieno, e da segretario regionale del Lazio ne potei subito apprezzare le capacità politiche e amministrative. Lo eleggemmo capogruppo alla Regione, e durante l’esperienza della giunta di sinistra si dimostrò in grado di governare situazioni non facili, mettendo in luce non solo competenza e duttilità nei rapporti politici ma anche notevoli attitudini nel sapere mantenere e sviluppare rapporti con la società. Qualità che poi emersero in tutta evidenza nella lunga e straordinaria attività di assessore alla cultura del Comune di Roma.
Gianni Borgna rovesciò l’originale impostazione effimera di Renato Nicolini. Dall’effimero passò allo strutturale, vale a dire a un nuovo impianto della cultura a Roma, facendo di questa città ciò che effettivamente dovrebbe essere: una vera capitale europea e mondiale della cultura. Nella quale le eccellenze della ricerca e della fruizione artistica siano organicamente legate a un’opera profonda di acculturazione di base, di riscoperta delle radici storiche della comunità, di analisi delle mutazioni strutturali e di costume nella metropoli moderna. Le canzonette di Sanremo e la musica colta come fenomeni culturali di massa, il recupero e lo studio di Pasolini, e poi le realizzazioni materiali. Dall’auditorium di Renzo Piano alla creazione di nuovi spazi espositivi, dai teatri di cintura nelle periferie al sistema capillare delle biblioteche: sono tutte componenti organiche a una visione complessiva della cultura intesa come mezzo di elevazione e di cambiamento progressivo della società.
Ma questo disegno innovativo da riportare alla luce e da studiare nelle sue diverse facce, a ben vedere l’unica nota positiva delle vecchie giunte di centro-sinistra, è stato soffocato e poi rimosso da un sistema di potere dominato dalla speculazione immobiliare e dalla rendita finanziaria, che insieme alla distruzione del territorio ha lacerato il corpo sociale già dolente della città. Mentre aveva ripreso il sopravvento, insieme allo sfruttamento e alla svalorizzazione del lavoro, una cultura di classe escludente e discriminatoria. Tutte cose che Gianni non voleva, e voleva contrastare. Era sicuramente una risorsa da mettere a frutto Gianni Borgna, nell’interesse di Roma e del Paese. Ma i suoi sodali di partito, molto prodighi di parole a effetto che il vento porta via e molto avari di veri slanci solidali, lo avevano di fatto emarginato.
Dopo molti anni di silenzio tra di noi, avevamo ricominciato a parlarci e a lavorare insieme. Per me era un piacere, sebbene velato dall’angoscia per la sua vita legata a un filo. Adesso resta solo il filo tenace di una storia e della memoria. E noi questo filo vogliamo riannodarlo con perseveranza e intelligenza. Qualcuno ha scritto che il Pci è stato il solo partito che Gianni abbia veramente amato. Penso che sia così. Ma lui non era un «irregolare». Era Gianni Borgna. Un compagno di tutti noi, col suo nome e cognome. Un comunista italiano, un comunista gentile. Caro Gianni, Futura Umanità, l’associazione di cui hai voluto essere un fondatore, non ti lascerà solo. Continueremo a cercare insieme a te e ai tuoi pensieri.
Paolo Ciofi