Europa e mondo nel pensiero di Enrico Berlinguer

Contributo di Gennaro Lopez “Berlinguer e l’Europa. I fondamenti di un nuovo socialismo” – Roma 6 Marzo 2015

La crisi dei primi anni ’70 del Novecento ha un peso fondamentale nell’elaborazione teorica e politica di Enrico Berlinguer; essa ne condizionerà l’evoluzione fino agli ultimi giorni di vita del leader comunista. Berlinguer pone al centro della sua analisi il mutamento delle ragioni di scambio fra paesi industrializzati e paesi esportatori di materie prime, un fenomeno che metteva in discussione il paradigma keynesiano, fondato sulla disponibilità di materie prime a basso costo, e spingeva a porre il tema di un nuovo modello di sviluppo.Nel dicembre del 1973, intervenendo alla riunione del CC del Partito, Berlinguer sottolinea che la crisi “investe l’intera Europa occidentale e l’insieme del mondo capitalistico”; non è solo – dice- “la crisi del petrolio”, in quanto “interessa tutto il settore dell’energia e quello del rifornimento delle materie prime” ed ha “stretti legami con la tempesta monetaria scatenata dalla svalutazione del dollaro nel 1971”. B. vede nell’aumento del prezzo del petrolio e di altre materie prime “prodotte nei paesi in via di sviluppo” il “sintomo di un fenomeno di fondo più generale, destinato a durare nel tempo e a svilupparsi”, cioè il “risveglio dei popoli oppressi”, un “moto di emancipazione dei popoli del terzo mondo”, definito come “fenomeno grandioso” e “processo irreversibile”. C’è proprio qui un passaggio-chiave dell’analisi berlingueriana, quando egli afferma: “La nuova situazione può contribuire a sollecitare i movimenti operai di tutti i paesi capitalistici a liberarsi dalla egemonia borghese, a conquistare la pienezza della propria autonomia ideale e politica, a lottare con più decisione e slancio per una trasformazione profonda della struttura sociale ed economica e degli indirizzi dello sviluppo nazionale, e a trovare le vie del benessere in modi, certo in larga misura, necessariamente diversi da quelli finora praticati, ma anche più giusti, più veri, più umani … per una diversa qualità della vita”.

Il punto di vista è con tutta evidenza di classe, così come evidente è la convinzione che ci si trovi in presenza di una crisi strutturale del capitalismo. Naturalmente, un ulteriore e ineludibile terreno di analisi era rappresentato dall’interpretazione del nesso che legava la crisi specifica italiana a quella mondiale: questo spiega come mai, almeno inizialmente, il problema di dar vita ad un nuovo modello di sviluppo, che sarà poi declinato (a partire dal 1977) nei termini di una “politica dell’austerità”, appare riferito soprattutto alla realtà nazionale: la crisi viene vista come “una grande occasione per avviare un processo di trasformazione e di rinnovamento della nostra società … una trasformazione profonda dei modi dello sviluppo economico, sociale e civile del paese e della stessa struttura della produzione e dei consumi … introducendo nella struttura -appunto- economica e sociale e nei modi di vita dei cittadini almeno alcuni elementi che non esitiamo a definire di socialismo”. Tuttavia, vedremo come gli elementi essenziali di questa proposta verranno ripresi guardando all’Europa e, infine, all’umanità intera. Già intervenendo alla Conferenza di Bruxelles dei partiti comunisti dell’Europa occidentale (26 gennaio 1974), Berlinguer afferma: “Alle origini dell’attuale situazione vi sono ragioni di fondo, irreversibili, e fra queste ragioni assume ora particolare rilievo quella rappresentata dalla crisi del vecchio sistema di sfruttamento e di oppressione verso i paesi del terzo mondo. Il processo di emancipazione politica ed economica dei paesi in via di sviluppo è un grande fattore positivo, un momento importante nella storia della lotta dei popoli contro l’imperialismo e il colonialismo, del cammino complessivo dell’umanità. E’ vero, d’altra parte, che da questa spinta a mutare i termini di scambio con i paesi sviluppati nascono problemi difficili e complessi anche per il movimento operaio dei nostri paesi. Quel che è certo è che tali problemi possono essere affrontati solo sviluppando la lotta per una trasformazione profonda della struttura sociale ed economica e, al tempo stesso, con la lotta perché si creino con i paesi in via di sviluppo rapporti di cooperazione di tipo nuovo, fondati sulla eguaglianza e sul reciproco interesse.”

Dal 10 al 12 dicembre 1974 si tiene la riunione del CC in preparazione del XIV Congresso (Roma, 18-23 marzo 1975). Anche in questa occasione, al centro dell’analisi viene posta “la crisi che attraversano le società capitalistiche su scala mondiale … una crisi profonda e di tipo nuovo, dovuta al concorso di grandi processi di portata storica, quali: il mutamento dei rapporti di forza tra paesi imperialisti e paesi socialisti; l’ingresso e il peso crescente nell’area mondiale dei popoli e degli Stati prima soggetti al dominio coloniale; e l’esplodere delle contraddizioni intrinseche ai meccanismi economici e sociali che hanno caratterizzato lo sviluppo post-bellico dei paesi capitalistici più progrediti … una crisi che investe tutti i campi: l’economia, la politica, la cultura … “. Dunque, Berlinguer appare sempre più convinto che ci si trovi di fronte ad una crisi strutturale e di sistema e compie un ulteriore passo avanti su questo terreno là dove afferma che “sarebbe sbagliato fermarsi all’analisi dei processi economici … sono cresciuti il peso sociale e la coscienza politica della classe operaia, come provano le lotte che si sviluppano nei paesi capitalistici … in vasti strati sociali, e soprattutto fra i giovani, oltre che nella classe operaia, si sviluppano vasti fenomeni di ribellione contro gli aspetti più intollerabili e degradanti di una organizzazione sociale basata sul profitto, sullo sfruttamento, sulla distorsione dei consumi, sulla alienazione … Questo non vuol dire che il capitalismo è vicino al suo crollo o è senza via d’uscita … però vi sono pure possibilità nuove per avviare cambiamenti, trasformazioni profonde, anche di tipo socialista. In altri termini, il quadro attuale del capitalismo … ripropone la prospettiva e la necessità storica del socialismo”. Faccio notare come qui l’analisi berlingueriana proponga come decisivi due elementi: la forza antagonistica della classe operaia e il protagonismo politico dei movimenti di massa, in particolare di quelli giovanili. Decisivi rispetto a quale obiettivo? Leggiamo. “Di fronte a tutte le forze progressive e rivoluzionarie stanno oggi due grandi compiti, fra loro collegati: uno è la costruzione di un nuovo assetto del mondo, l’altro è la creazione di una nuova organizzazione della vita sociale, economica e politica nei singoli paesi. Questi compiti richiedono entrambi lotte assai dure e, in pari tempo, proposte costruttive e grandi iniziative politiche unitarie”.   A conferma della profondità della crisi, B. prende in considerazione anche aspetti di un crescente degrado culturale, in particolare quelli che si manifestano attraverso “l’estendersi di tendenze irrazionalistiche e nichilistiche, di correnti oscurantistiche”. Difficile qui non risentire l’eco ravvicinata della voce di un grande intellettuale italiano: Pier Paolo Pasolini. Credo si possa affermare che proprio in quel CC veniva data forma e sistemazione organica ad una strategia e ad un progetto politico (con una ipotesi alternativa e organica di welfare state). E nella relazione al XIV Congresso, nel successivo marzo 1975, il tema del rapporto tra situazione italiana e crisi delle economie capitalistiche veniva affrontato con un suggestivo ed efficace parallelo: “Nessuna politica economica è valida in Italia, nessun rinnovamento è possibile se non si avvia a soluzione la questione meridionale. Oggi il nostro discorso si allarga: nessuna politica è valida, nessun avanzamento e rinnovamento è possibile in Occidente se non contiene in sé la soluzione dei problemi del Terzo e Quarto mondo.”

L’attenzione all’Europa, al suo possibile ruolo sulla scena internazionale, conoscerà un “crescendo” nella riflessione politica di Berlinguer, man mano che le sue idee su un nuovo ordine economico, fondato su “elementi di socialismo” andranno allargandosi dall’ambito nazionale a quello continentale e mondiale. In proposito, due brevi citazioni. Intervenendo alla riunione del CC del 29 ottobre 1975: “La politica seguita dalle vecchie classi dominanti –afferma- mette in pericolo non solo la possibilità di un ordinato progresso civile dei vari paesi dell’Europa occidentale, ma il ruolo e l’iniziativa stessa del nostro continente negli affari mondiali e nello sviluppo complessivo della società umana … La via maestra è quella di una iniziativa unitaria e unificatrice delle classi lavoratrici e dei loro partiti, tale da sollecitare e realizzare progressivamente un insieme di trasformazioni di carattere democratico nelle strutture economiche e sociali e nella vita e direzione politica degli Stati, oltre che nelle stesse istituzioni europee.” E ancora, parlando alla conferenza dei partiti comunisti e operai d’Europa (Berlino, 30 giugno 1976): “Un’Europa che proceda sempre più coraggiosamente sulla strada della distensione e della cooperazione sarà in grado di dare un immenso contributo alla risoluzione di quel fondamentale problema del nostro tempo che è la costruzione di un nuovo ordinamento economico internazionale fondato su basi di eguaglianza e di reciproco vantaggio, tale da consentire anche il superamento degli inaccettabili, spaventosi squilibri economici e nelle condizioni di vita che caratterizzano la situazione del mondo contemporaneo.”

E’ lecito domandarsi: come ha letto Berlinguer la crisi economica mondiale degli anni Settanta? Ci fu un limite in quella lettura? Va detto, in positivo, che di certo aumentò l’attenzione verso il rapporto quantità/qualità dello sviluppo, verso il problema dei rapporti tra Nord e Sud del mondo, verso la necessità di difendere l’ambiente naturale e di sviluppare la persona umana. Il tema dell’austerità tese progressivamente a proiettarsi nello spazio e nel tempo verso l’obiettivo di una più efficiente ed equa distribuzione delle risorse tra Nord e Sud del mondo, nella crescente consapevolezza che la risposta alla grande ristrutturazione liberista poteva venire solo dalla proposta di un diverso modello di sviluppo, impossibile da realizzare in una dimensione esclusivamente nazionale. Il punto debole delle strategie socialdemocratiche era stato per decenni proprio la scarsa attenzione ai problemi del Sud del mondo, ma già nella seconda metà degli anni Sessanta il più prestigioso fra gli intellettuali socialdemocratici scandinavi, il premio Nobel Gunnar Myrdal, uno dei padri fondatori dello Stato sociale, analizzando la tendenza a una progressiva distanza nello sviluppo delle diverse parti del mondo, aveva raccomandato di andare oltre lo Stato sociale: quel richiamo aveva poi suscitato una crescente attenzione ai problemi del Sud del mondo nel partito socialdemocratico svedese di Olof Palme e indotto Willy Brandt a mobilitare l’Internazionale socialista su quel problema, fino all’elaborazione di un documento specifico: il c.d. “rapporto Brandt” del 1980. Quanto ai limiti, il principale fu forse quello di sottovalutare o di non pre-vedere gli elementi di dinamismo e le capacità di ristrutturazione del capitalismo. Limite tutto socialdemocratico, perché restò invece salda in Berlinguer l’idea di un superamento in senso socialista del modello capitalistico di società. Va detto, peraltro, che in quegli anni il capitalismo ebbe la capacità di aprire una nuova fase storica del suo sviluppo nel segno di una rivoluzione informatica e tecnologica, di un aumento delle attività terziarie e di una delocalizzazione dei processi produttivi. Tutto ciò produsse l’effetto di una espansione dei consumi e dei soggetti in grado di consumare. Si profilava, inoltre, una lunga offensiva ideologica neoconservatrice – inaugurata dalla coppia Margaret Thatcher-Ronald Reagan – che oggi pare essersi infranta davanti all’attuale crisi, ma che ha cambiato anche il modo di essere delle sinistre. Ci fu anche, probabilmente, una certa difficoltà a definire i c. d. “elementi di socialismo”. In ogni caso, fu merito indiscutibile di E. B. quello di aver elaborato una critica qualitativa del sistema capitalistico, andando nel profondo, al senso generale dello sviluppo: che cosa produrre e perché produrre, facendo altresì emergere la connessione tra contraddizione sociale e contraddizione ecologica. Alcune domande fondamentali che sono alla radice del pensiero berlingueriano (quale senso dare al lavoro? quale alla produzione?) sono più che mai attuali.

Non credo che oggi E. B. avrebbe sposato la teoria della decrescita di Serge Latouche, ma piuttosto si sarebbe espresso per uno sviluppo compatibile con l’ambiente e con una qualità della vita più umana. Egli era persuaso che il divario fra il Nord e il Sud del mondo avrebbe dovuto obbligare l’Europa a qualificarsi come soggetto politico forte e unitario, dentro un quadro di «governo mondiale» dell’economia. I non numerosi interventi di E. B. in seno al Parlamento europeo, per incisività e lucida chiarezza, ripropongono efficacemente la sua visione dell’Europa e del mondo.

Intervenendo a Strasburgo del 16 gennaio 1980, nel corso di un dibattito dedicato alla vicenda afghana: “Una specifica iniziativa europea è essenziale per contribuire a superare i drammatici squilibri economici e sociali fra il Nord e il Sud del mondo, che diverrebbero ancora più esplosivi se continuasse la tendenza alla tensione tra gli USA e l’URSS, tra l’Est e l’Ovest. Gli squilibri, le ingiustizie, le sofferenze, la fame, la denutrizione che colpiscono miliardi di uomini sono il tragico retaggio di secoli di dominazione colonialista e di rapina imperialista … E’ in queste direzioni che deve andare la politica europea: promuovendo iniziative anche nuove per il disarmo; rifiutando ogni forma e tentazione di neo-colonialismo; stabilendo con i popoli e paesi del terzo mondo uno schema di rapporti fondati non sul semplice aiuto, ma sull’uguaglianza e la cooperazione reciprocamente vantaggiosa. ma bisogna anche dare la prova di comprendere che la causa della pace e della giustizia nel mondo non tollera più quei privilegi e quegli sprechi, quei modelli di vita e di consumi propri delle società industrializzate … Anche nel movimento operaio dell’Europa occidentale non vi è ancora consapevolezza adeguata della portata delle trasformazioni che si impongono nel tipo di sviluppo e nei modi di vita dei paesi industrializzati per creare assetti sociali fondati, al tempo stesso, sulla parsimonia e sulla giustizia.” Concetti poi ribaditi ancora l’11 febbraio 1981: “Sullo sfondo di tutta la presente situazione mondiale domina il problema costituito dal crescente squilibrio tra i paesi economicamente progrediti e le immense aree del sottosviluppo, della miseria, della povertà e della fame. E’ un problema insoluto, che diventa sempre più grave; è il problema più angoscioso ed esplosivo dei nostri tempi … Ci può essere un avvenire per l’Europa e per l’affermarsi di una sua nuova funzione nel mondo, solo se il sollevamento e lo sviluppo produttivo delle aree economicamente arretrate del Sud del mondo, e innanzi tutto del bacino mediterraneo e dell’Africa, diverranno una direttrice centrale delle attività economiche nei paesi della Comunità. … Quel che occorre è dunque lo sviluppo coraggioso di una iniziativa autonoma dell’Europa nel mondo, sia nei rapporti Est-Ovest, sia nei rapporti Nord-Sud.”

Solo pochi mesi prima dalla morte, Berlinguer interviene al Congresso del Movimento federalista europeo (Bruxelles, 22 marzo 1984) e afferma: “La sfera europea è ormai la sfera necessaria in cui si devono condurre -insieme alle lotte che ognuno conduce nel proprio paese- le lotte per il lavoro, per una nuova qualità dello sviluppo e della vita, per un nuovo ordine internazionale fondato sulla pace, sulla fine della corsa agli armamenti, a cominciare da quelli nucleari e missilistici, sulla cooperazione, su un nuovo rapporto fra Nord e Sud e tra Est ed Ovest. … Un’Europa di pace e di progresso: di questo hanno bisogno i nostri popoli, di questo ha bisogno la società internazionale. Senza un’Europa di questo tipo tutto il mondo sarà più insicuro, e più incerte saranno le prospettive dell’umanità.” Sta in queste parole il lascito più prezioso, perché attualissimo, del pensiero “europeo ed europeista” di Enrico Berlinguer, un pensiero che si inscrive in una visione politica dal respiro universalista, con l’intuizione straordinaria di un “governo mondiale” (in un mondo non ancora globalizzato!), basato su un multilateralismo atto a promuovere progresso sociale, diritti, valore del lavoro, cittadinanza democratica. In siffatto contesto E.B. sollecita un ruolo attivo e propulsivo dell’Europa come fattore di equilibrio di fronte alla crisi dello Stato-nazione e protagonista di un processo di superamento, da un lato della contrapposizione Est/Ovest, dall’altro lato dei meccanismi dello scambio ineguale fra Nord e Sud del mondo.