A cura di Guido Liguori pubblichiamo ogni giorno, a partire da oggi 1 gennaio, un articolo di Gramsci apparso sull’Ordine Nuovo più o meno negli stessi giorni di 100 anni fa.

A. Gramsci, Lo Stato operaio, in “L’Ordine Nuovo”, 1° gennaio 1921
Una associazione può essere chiamata “partito politico” solo in quanto possiede una sua propria dottrina costituzionale, solo in quanto è riuscita a concretare e a divulgare una propria nozione dell’idea di Stato, solo in quanto è riuscita a concretare e a divulgare fra le grandi masse un suo programma di governo, atto ad organizzare praticamente, e cioè in condizioni determinate, con uomini reali e non astratti fantasmi di umanità, uno Stato.
Il Partito Socialista italiano ha sempre avuto la pretesa di essere “il partito politico” del proletariato italiano. Questa pretesa ideologica poneva dei compiti pratici e dei doveri immediati al Partito Socialista. Il Partito Socialista italiano avrebbe dovuto essere consapevole del suo massimo e più immediato compito storico: fondare un nuovo Stato, lo Stato operaio – suscitare e organizzare le condizioni “politiche” per la fondazione del novo Stato; e avrebbe dovuto avere una esatta consapevolezza dei limiti e delle forme di questo suo compito, nel campo nazionale e nel campo internazionale. La critica di questa pretesa ideologica del Partito socialista è fatta dallo stesso sviluppo degli avvenimenti storici: la situazione attuale del partito è il quadro reale di quest’opera di critica e di dissoluzione compiuta non da singoli uomini, ma da tutto il processo di sviluppo della storia di un popolo.
Subito dopo il Congresso di Bologna, il Partito socialista si presentò al popolo italiano come un partito di governo rivoluzionario: i risultati delle elezioni parlamentari del novembre 1919 erano l’indicazione politica che doveva dare al partito l’energia e l’ardore necessari per un rapido passaggio dalla propaganda all’azione. Le elezioni del novembre avevano creato in Italia la situazione politica che può essere riassunta nell’espressione: esistono due Governi. Tutta la classe operaia e larghi strati contadineschi si erano esplicitamente dichiarati per il Partito socialista, avevano esplicitamente dichiarato di essere decisi fino in fondo il Partito della dittatura proletaria, il Partito che voleva inserire la nazione italiana, il popolo lavoratore italiano, nel quadro dell’Internazionale comunista nel quadro dello Stato operaio mondiale che tenacemente si andava organizzando intorno al primo Stato operaio nazionale, la Repubblica russa dei Soviet, intorno al primo germe di Governo operaio mondiale, il comitato esecutivo della Terza Internazionale. L’impostazione della lotta elettorale da parte degli altri partiti delle masse italiane, il Partito Popolare e i gruppi di ex combattenti, dimostrava che anche le più larghe masse arretrate del popolo lavoratore erano favorevoli a un radicale mutamento di regime tanto che si rendeva necessaria, per questi partiti piccolo-borghesi una corsa al più rosso, una fraseologia demagogica, una posizione almeno apparentemente rivoluzionaria. L’ideologia borghese aveva fallito nel tentativo di far convergere l’attenzione delle masse sul mito wilsoniano, aveva fallito nel tentativo di dare nell’ambito dello Stato borghese una soddisfazione al bisogno che le masse sentivano di una soluzione internazionale dei problemi posti dalla guerra: al mito sguaiato di “Wilson, imperatore dei popoli”, andava sostituendosi la passione politica per “Lenin, capo della Comune Internazionale”. Con la sua propaganda, col prestigio acquistato durante la guerra, il Partito Socialista Italiano era effettivamente riuscito a suscitare le condizioni generali politiche per la fondazione dello Stato operaio, era riuscito a suscitare un apparecchio di larghissimo consenso popolare all’avvento di un Governo rivoluzionario: la più elementare nozione di psicologia politica autorizzava la previsione di un tale Governo, dopo la violenta presa di possesso dell’organismo statale, avrebbe avuto la maggioranza della popolazione dalla sua parte, sarebbe stato effettivamente un Governo della maggioranza.
Il partito non riuscì a organizzare la situazione che aveva suscitato, non riuscì a consolidare e a far funzionare permanentemente l’apparecchio di governo che si era formato subito dopo il Congresso di Bologna, nella prima consultazione politica del popolo italiano avvenuta dopo lo scoppio della guerra mondiale. La storia che va dal 2-3 dicembre 1919 ad oggi è una continua dimostrazione dell’incapacità del partito a organizzare la vita politica del popolo italiano, a darle un indirizzo, a orientare l’avanguardia della rivoluzione popolare in modo da infonderle una precisa coscienza dei suoi particolari compiti, delle sue specifiche responsabilità. Il Partito socialista ha dimostrato di non essere un “partito politico” capace di assumersi le responsabilità dell’azione, capace d’assumersi la responsabilità di assicurare il pane e il tetto alle decine e decine di milioni della popolazione italiana, ma di essere un’associazione di uomini bene intenzionati e di buona volontà che si riuniscono per discutere, con scarsa originalità e con abbondante ignoranza, sul preciso significato vocabolaristico che occorre dare alla nuova terminologia politica inventata dalla irrequieta fantasia dei bolscevichi russi: dittatura, Soviet, controllo, Consiglio di fabbrica, semiproletario, terrore, ecc., ecc.
Il Partito socialista sistematicamente ignorò e trascurò ogni movimento delle masse popolari, fossero masse di operai industriali, o di contadini poveri politicamente arretrati. Non acquistò una nozione dell’idea di “gerarchia”: lasciò schiacciare nell’aprile 1920 il movimento torinese per i Consigli di fabbrica e per il controllo operaio, lasciò che nel settembre il gigantesco movimento degli operai metallurgici miseramente si concludesse in un compromesso giolittiano e nella evidente truffa del controllo sindacale, allo stesso modo che aveva lasciato in completo abbandono le masse agricole in lotta per la conquista della terra. Incapace a formarsi una dottrina dello Stato operaio nazionale e ad elaborare un metodo d’azione idoneo a raggiungere il fine immediato della sua esistenza: la fondazione appunto di un tale Stato, il Partito non poteva avere la capacità di comprendere la dottrina dello Stato operaio mondiale, la dottrina dell’Internazionale comunista, e perciò era indubbiamente necessario che avvenisse il cozzo attuale tra la sua maggioranza e il Comitato esecutivo. Lo svolgersi degli avvenimenti a mostrato la reale natura del Partito Socialista, ha dato la spiegazione dei suoi atteggiamenti passati, dei suoi errori passati. Il Partito Socialista Italiano, che non aveva compreso di dover poggiare la sua azione esclusivamente sulla classe operaia urbana, ma aveva voluto essere il partito di “tutti i lavoratori”, è stato il partito di “nessuno”, è stato semplicemente un Partito parlamentare, che poteva proporsi di “correggere” o di sabotare lo Stato borghese, non poteva proporsi di fondare un nuovo Stato. Esso ha dimostrato praticamente di non riuscire a comprendere la posizione gerarchica che, nell’ambito nazionale, deve essere occupata dall’avanguardia rivoluzionaria (il proletariato urbano) nei confronti dei più larghi strati del popolo lavoratore, da quando nella sua maggioranza (pare che si tratti della maggioranza) ha affermato di voler rifiutare obbedienza al più alto potere del movimento operaio mondiale, al congresso internazionale e al comitato esecutivo che ne è l’espressione legittima e l’organismo di governo. La mancanza di “civismo”, la mancanza di “lealismo” del partito verso lo Stato operaio mondiale, dimostra la sua incapacità intima anche solo a concepire organicamente uno Stato operaio nazionale.
In Italia, il pullulare sempiterno dei “D’Annunzio” (– è “D’Annunzio” il viaggiatore che cerca frodare il biglietto ferroviario, l’industriale che nasconde i profitti, il commerciante che compila bilanci falsi, per frodare il fisco), – l’assenza nei borghesi di ogni spirito di civismo e di lealismo verso le istituzioni hanno sempre impedito l’esistenza di uno Stato parlamentare bene ordinato (come in Inghilterra, per esempio); queste abitudini borghesi erano passate nel movimento operaio; esse si sono manifestate clamorosamente in questi ultimi mesi, e hanno dimostrato di poter disgregare l’Internazionale, dopo essere riuscite a paralizzare per quasi un anno le energie immanenti nella classe operaia nazionale. Con la loro posizione netta e precisa, con la loro intransigenza irremovibile, i comunisti vogliono difendere dalla corruzione italiana, dallo scetticismo italiano, dal mal costume della vita politica italiana l’organismo ancora gracile dello Stato operaio mondiale, perché i comunisti credono, difendendo l’Internazionale Comunista di difendere efficacemente anche l’avvenire della Rivoluzione proletaria italiana, l’avvenire del popolo lavoratore italiano; perché essi sono intimamente persuasi di avere in tale modo iniziato il concreto lavoro di orientamento e di educazione politica che oggi è la condizione primordiale per la fondazione dello Stato operaio italiano.