
A cura di Guido Liguori, a partire dal 1 gennaio, pubblichiamo sul nostro sito ogni giorno, un articolo di Gramsci apparso sull’Ordine Nuovo più o meno negli stessi giorni di 100 anni fa.
A. Gramsci, Forza e prestigio, in “L’Ordine Nuovo”, 14 gennaio 1921
La relazione con la quale l’attuale Direzione del Partito Socialista Italiano presenta al Congresso di Livorno l’attività propria e di tutto il partito negli ultimi quindici mesi è degna, in realtà, nel suo arido schematismo burocratico, di quella che è stata in questi mesi la vita del partito e quasi sembra fatta apposta per concludere, senza variare di stile, un periodo che forse non sarà ricordato se non perché in esso è maturata nell’avanguardia rivoluzionaria del proletariato italiano la coscienza della necessità di spezzare l’unità formale e burocratica del Partito Socialista per raggiungere nel Partito Comunista una unità sostanziale di azione e di pensiero.
Se ancora ve ne fosse bisogno, questa relazione fornisce un’ultima prova di questa necessità, e una volta ancora convince ad abbandonare senza rimpianti ciò che è diventato ormai peso vano e inutile ingombro.Se v’è ancora chi, al momento di separarsi e di far la sua via, in tono piagnucoloso commemori l’unità che più non esiste ed esalti insieme con l’unità il prestigio del “glorioso” passato, questa relazione è fatta per lui.Non mai in modo così evidente è apparso, come da questa relazione, la possibilità che un movimento di masse, passando attraverso agli organi di un partito, che dovrebbero servire a dargli una forma organica, ordinata, regolare e a renderlo in pari tempo più forte e travolgente, riesca invece a perdere quanto aveva di originalità, di spontaneità, di fervore, per esaurirsi in un seguito di pratiche burocratiche, di relazioni gerarchiche e di discussioni vuote e inconcludenti.In verità, che a leggere queste pagine fredde, dove le agitazioni sono elencate, l’una dopo l’altra, e dell’una si dice che la Direzione non credette bene di svilupparla perché il momento non le sembrava maturo, e per l’altra si obbietta che la Direzione fu costretta ad assumerne le responsabilità quantunque non l’avesse iniziata, ma l’avesse veduta sorgere, spontaneamente, dal seno delle masse spinte all’azione dalla fede prestata alle parole che loro si erano dette, al leggere queste pagine vi è da chiedersi se il Partito e la spontanea e quasi cieca fiducia che in esso le masse hanno avuto non siano stati un ostacolo allo sviluppo del pensiero e degli atti di queste masse in forme organiche e capaci di concludere a qualcosa di sostanziale e di concreto.Eppure, il prestigio del partito ha costituito, specialmente negli ultimi anni, dopo il periodo della guerra, un elemento fondamentale della psicologia delle masse italiane, costituisce forse tuttora un punto morto, che i comunisti debbono superare con uno sforzo lento di illuminazione, uno sforzo rivolto a educare nelle masse un più desto spirito di critica e di esame. In fondo, se esaminiamo attentamente l’azione del partito e la sua propaganda durante la guerra, l’origine cioè di questo prestigio, si riscontrano in esse gli stessi caratteri negativi che provocano oggi la critica dei comunisti all’atteggiamento tenuto negli ultimi due anni.Anche allora, come adesso, un programma di opposizione, anzi di eversione totale, era sostenuto sui giornali, diffuso tra le masse, adottato senza riserve e senza restrizioni. I lavoratori, istintivamente attratti e trascinati dalla sua evidente verità e dalla completa corrispondenza di esso con le loro aspirazioni e con il profondo loro modo di giudicare fatti e uomini, seguivano, attendevano anzi, fiduciosi che alle parole fossero conformi i propositi, i progetti, i piani d’azione. La assoluta opposizione alla guerra si presentava alle masse come la logica continuazione della lotta di classe. Tale era essa in principio, tale avrebbe dovuto essere anche nei fatti, nei fatti minuti della vita di partito e delle organizzazioni aderenti ad esso ed alla sua politica, nei fatti quotidiani della vita di tutta la massa. In realtà, la lotta di classe di cui audacemente si proclamava la continuazione, nei fatti che riguardavano direttamente da vicino i lavoratori, nei fatti nei quali essa è solita prendere per i lavoratori una forma concreta, era spenta. Gli operai, nei quali lo spirito e la necessità di essa continuavano ad esistere come un bisogno imprescindibile della vita, erano costretti ad operare per vie traverse, al di fuori del controllo e dei quadri del partito e delle organizzazioni, in modo contrario anzi alla tattica da essi ufficialmente od ufficiosamente legittimata. A Torino vi è tra gli operai metallurgici chi ricorda di essere andato, come rappresentante di un embrionale organismo di officina, a trattare con gli organi governativi di controllo sull’industria, e di avere trovato in essi, accanto ai delegati dei padroni, “pariteticamente” sedenti a discutere, i compagni di partito, coloro che al di fuori proclamavano la impossibilità di troncare per la guerra lo sviluppo della lotta di classe e nella pratica sindacale rinunciavano invece ai più elementari principi dell’azione classica. Così il programma svaniva al contatto con la pratica, il Partito si rivelava fin da allora impotente a mantenersi coerente con i suoi principio fin nei più minuti sviluppi della quotidiana azione da esso compiuta o da esso ispirata, a creare insomma, attorno al suo programma una reale e sostanziale unità, a non accontentarsi del fantasma di una parola. E da allora incominciava la sua forza a ridursi a quello che è stato nei due ultimi anni: un “prestigio”, un semplice “prestigio”, cioè la conseguenza di uno stato d’animo dei seguaci e degli avversari, e non di una organizzata capacità di azione. Ma il “prestigio” acquistato con l’opposizione alla guerra precipitava una prima volta, nel 1917, dopo Caporetto, quando il Partito della disfatta rivelavasi incapace di sfruttare la disfatta e di trasformarla in una vittoria sua, quando la sua opposizione verbale pietosamente, con un discorso di Filippo Turati, si suicidava davanti al Monte Grappa.Dopo la guerra, sono passati due anni di propaganda, di risoluzioni sempre decisamente estreme, di attese e di promesse, e dopo due anni, nuovamente la forza si è rivelata essere un semplice prestigio, uno stato d’animo collettivo che ormai un complesso di circostanze esteriori ed interne tende a far scomparire.La relazione che la Direzione presenta al Congresso di Livorno potrebbe essere presa come la documentazione della caduta di questo prestigio, attraverso i movimenti che i burocratici registrano vittoriosi perché hanno mandato in Parlamento 150 socialisti a fare il contrario di quanto avevano promesso, attraverso le agitazioni lasciate spegnere perché non “era il momento” e a quelle che ci si è preso la responsabilità di…seppellire, quantunque non fossero sorte per iniziativa dell’ufficio e dell’impiegato competente.
Dedichiamo quindi questa relazione ai compagni che ancora ragionano sul “prestigio” della unità e lamentosamente piagnucolano contro chi non sa più che fare di un nome vano; dedichiamola a chi vive di ombre; ai comunisti il compito di sostituire ad un’ombra una forza effettiva.