Questo è l’ultimo articolo scritto da Gramsci prima dell’inizio del congresso di Livorno (il 15 gennaio)-, poi infatti è a Livorno

A. Gramsci, Un monito, in “L’Ordine Nuovo”, 15 gennaio 1921
È caso od è fortuna quella che vuole che il Congresso del Partito socialista italiano si raduni a Livorno nel giorno anniversario del sacrificio di Carlo Liebknecht? Noi non crediamo né alle date fatali né alle fatidiche coincidenze della storia, e non crediamo nemmeno che lo spirito dei morti abbia potere di ritornare tra i vivi e di ispirarli. Ma se quelli di cui si commemora la fine sono i “nostri” morti, sono coloro che caddero con le armi levate nel fervore della lotta, e con lo spirito teso, nelle alternative disperate del combattimento, a resistere, ad attendere, a sperare – di questi morti anche noi sentiamo la vitalità eterna, sentiamo noi pure la permanenza dello spirito loro, animatore, tra di noi, per questi morti anche noi, quasi, ci sentiamo di ripetere le parole della fiduciosa superstizione cristiana: essi sono vivi ancora, e giudicano, e attendono. In realtà, siamo noi stessi che giudichiamo e attendiamo, ma vogliamo pensare l’azione e il giudizio nostro, in questi momenti supremi, come ispirati, quasi dettati da un insegnamento sorgente dalla vita di chi tanto più intensamente di noi ha operato per l’affermazione e la vittoria dei principi nostri.
Sotto gli auspici del nome di Carlo Liebknecht ben si apre perciò il Congresso di Livorno. Chi evocherà, con il nome, i fatti e gli insegnamenti, non potrà trarre da essi che un monito, conforme con la nostra attesa, con la nostra fiducia, con i nostri propositi.
Con la morte di Carlo Liebknecht, nel gennaio 1919, finiva nel sacrificio cruento la prima grande affermazione dei comunisti dell’Europa centrale e occidentale. La insurrezione armata del proletariato tedesco che egli diresse con l’autorità della sua persona, enorme di fronte alle mezze figure dei traditori e degli esitanti, e con una precisione di pensiero e di propositi pari all’ardire e alla tenacia infrangibile della volontà, quella insurrezione fu in realtà il primo, il solo tentativo grande, serio e fornito di probabilità di successo, di inserire e comprendere lo sviluppo della crisi europea postbellica nello stesso quadro della rivoluzione proletaria russa. La insurrezione dei comunisti tedeschi parve per un istante realizzare la saldatura tra la rivoluzione russa vittoriosa e gli sforzi delle minoranze rivoluzionarie dei paesi dell’Europa centrale e occidentale. Se la saldatura si fosse compiuta, invece di esaurirsi in una serie di tentativi sporadici e nel grande, epico, ma doloroso sforzo di un popolo isolato, la rivoluzione europea avrebbe avuto il suo sbocco naturale in una rivolta di tutto il proletariato contro tutti i governi dell’Intesa. Perciò nei giorni tragici del gennaio 1919 il cuore del mondo intero pulsò intorno a Berlino, e il destino del mondo intero parve sospeso all’esito di scontri rabbiosi nei quali il fiore dei proletari di Germania versava il suo sangue. Il nome stesso di Liebknecht apparve allora a tutti in modo concreto, in modo evidente, ciò che era apparso negli anni della guerra alla fantasia di Henri Barbusse, una sintesi vivente, un simbolo: la sintesi ed il simbolo della rivolta proletaria contro le infamie, contro gli orrori, contro la schiavitù della guerra e della pace capitalistica.
Ma oggi che a distanza di due anni ricordiamo quei fatti, noi possiamo aggiungere qualcosa a quella rappresentazione simbolica, possiamo aggiungere l’esperienza di un periodo rivoluzionario apertosi con le più grandi speranze e con la più grande audacia, e non ancora concluso, benché il ritorno degli eventi fatto più lento e meno febbrile sembri accennare a una depressione degli spiriti e della volontà di rivolta. Oggi lo sviluppo dei fatti ci si presenta anch’esso più chiaro, insieme col logico incatenarsi delle cause e degli effetti, e il sacrificio di Liebknecht ci appare in tutta la sua pienezza del valore ch’esso ha avuto, non solo nella storia della rivoluzione europea, ma nella stessa intima storia della formazione nelle file del proletariato di una precisa coscienza e di una valida capacità di azione. Perciò, prima di ogni altra cosa, nel ricordare la morte atroce, noi ricordiamo che gli strumenti di essa furono apprestati, prima che dalla classe borghese, dai traditori usciti dalle file del partito del proletario. Commemoriamo il martire e l’eroe, l’uomo nella cui vita per un istante si sono riassunte le sorti di tutta la classe ribelle, e non possiamo non ricordare, come parte essenziale di un insegnamento che non si cancella, che la sua sorte fu segnata da coloro che erano venuti meno alla fede, che erano passati nelle file avversarie o rimasti tra le file dei combattenti per seminarvi dubbio, incertezza, scetticismo. L’insurrezione berlinese del gennaio 1919 fallì perché trovò contro di sé, organizzate dai socialdemocratici, le forze della reazione; dopo di essa, il proletario tedesco fino a ieri è stato impedito di risorgere valido e potente dagli stessi che un giorno erano parsi guide dell’azione e poi si rivelarono traditori nascosti sotto le spoglie o del teorico, o del funzionario, o del parlamentare. Soltanto attualmente dopo un lungo periodo d’elaborazione interiore, dopo un periodo faticoso di liberazione e di rinnovamento, la classe operaia tedesca sta ritrovando la sua via. E la ritrova sulle direttive segnate da Carlo Liebknecht.
Ma noi abbiamo detto che nel suo nome e nell’azione sua vedevamo un esempio per tutti i popoli. Più che un esempio, è una prova. Carlo Liebknecht ci ha provato nel modo più valido, col sacrificio, quale è la via e quali sono gli ostacoli.
Chi evocherà il suo nome al Congresso di Livorno saprà esprimere completo il monito che esso contiene?
Sotto gli auspici del suo nome noi vogliamo porre – e ci pare realmente ora, che la coincidenza sia fatidica – l’origine del Partito Comunista Italiano.