Gramsci e la Rivoluzione d’Ottobre

Di Guido Liguori

In occasione dell’ anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, per ricordare il grande evento che diede la sua impronta a tutto il XX secolo e oltre, pubblichiamo in questi giorni alcuni articoli sui fatti del 1917 e sulla loro interpretazione.

Questo articolo di Guido Liguori è tratto da Critica Marxista. 2017, n, 3-4.

La peculiare formazione di Gramsci gli fece scorgere nelle due rivoluzioni russe del 1917 l’inveramento delle sue concezioni soggettivistiche. La successiva comprensione della differenza tra “Oriente” e “Occidente” lo portò a una rivoluzione del concetto di rivoluzione, senza fargli rinnegare l’importanza storica dell’Ottobre né la solidarietà di fondo con il primo Stato socialista della storia.

A cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre e a ottant’anni dalla morte di Gramsci non è inutile tornare sulla lettura che nel 1917 l’allora ventiseienne socialista sardo diede dei fatti di Russia e anche su cosa poi rimase di tale interpretazione nel suo bagaglio teorico-politico più maturo. La rivoluzione guidata da Lenin, infatti, costituì per il giovane sardo trapiantato a Torino un punto di svolta politico, teorico ed esistenziale a partire dal quale iniziò la maturazione del suo pensiero e la sua vicenda di comunista. Per comprendere come Gramsci si rapportò alla Rivoluzione d’Ottobre occorre dunque partire in primo luogo dalla consapevolezza che Gramsci fu sempre, dagli anni torinesi alle opere del carcere, non solo un teorico della rivoluzione, ma un rivoluzionario. È quanto ebbe a sottolineare Palmiro Togliatti, nell’ambito del primo dei convegni decennali dedicati al pensiero di Gramsci, che ebbe luogo a Roma nel gennaio 1958, affermando: «G. fu un teorico della politica, ma soprattutto fu un politico pratico, cioè un combattente […]. Nella politica è da ricercarsi la unità della vita di A.G.: il punto di partenza e il punto di arrivo».

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L’impronta di Togliatti

Di Alexander Höbel

Il 21 agosto prossimo ricorre il 60° anniversario della morte di Palmiro Togliatti. Per ricordare il grande dirigente comunista scomparso a Jalta nel 1964 pubblichiamo in questi giorni alcuni scritti dedicati al suo pensiero e alla sua opera.

Il seguente articolo di Alexander Höbel è ripreso da “Critica Marxista”, 2021, n. 1-2.

Già negli anni dell’esilio Togliatti individua la strada di un partito che sia promotore di una rivoluzione popolare, nazionale e antifascista. La svolta di Salerno, la democrazia progressiva, il partito nuovo. Il 1956, dal XX Congresso del Pcus all’VIII Congresso del Pci. Gli ultimi anni: nuove acquisizioni, dubbi, bilanci.

Se è vero che, come sottolineava Lucio Magri, il «genoma Gramsci» ha caratterizzato in larga misura la cultura politica del comunismo italiano, l’impronta che su quest’ultimo ha lasciato Palmiro Togliatti è non meno indelebile, considerato che del Pci egli è stato il principale dirigente dalla seconda metà degli anni Venti fino alla sua scomparsa, nel 1964, e che anche sul piano teorico il suo contributo è stato di notevole portata. Comune ai due leader è l’esperienza ordinovista, che Togliatti individuava come il sostrato ideologico della nuova impostazione del Pcd’I dopo gli anni della direzione bordighiana; comune anche l’acquisizione della centralità della dimensione di massa della politica contemporanea», che influenzò non poco le loro concezioni del partito, e dunque la rilevanza del nesso socialismo-democrazia.

(continua nell’allegato)