Relazione di Guido Liguori al Convegno “Enrico Berlinguer e i giovani. un’altra idea del mondo” – Roma 8 maggio 2014
1. Si è tornati quest’anno a parlare di Enrico Berlinguer, in occasione del trentennale della morte, sono stati pubblicati o ripubblicati libri dedicati alla sua vita e al suo pensiero, sono stati organizzati e sono previsti vari convegni, è stato fatto persino un film, un documentario che ha avuto successo e che ha riempito le sale dei cinema.
Eppure dobbiamo chiederci se si stia dando davvero – con l’insieme di queste iniziative – un esauriente contributo di verità, ovvero se si stia davvero ricostruendo in modo adeguato la figura e soprattutto il pensiero di quello che fu il più popolare segretario del Partito comunista italiano, il Pci.
Dico questo perché a mio avviso l’immagine di Enrico Berlinguer che scaturisce dalla maggior parte di queste ricostruzioni è una immagine parziale. È una immagine che tende soprattutto a sottolineare la onestà di Berlinguer, la sua dirittura etica, la sua battaglia contro un modo corrotto di fare politica.
È chiaro che tutto ciò è vero, è presente in Berlinguer, nella sua visione, nel suo comportamento, nel ricordo che ha lasciato di sé. Se tutto questo è vero, però, tutto ciò non è ancora sufficiente – a mio avviso – per restituire pienamente e correttamente il pensiero e la figura di Enrico Berlinguer. Un ulteriore passo va fatto.
La domanda che occorre porsi è la seguente: quali erano le idee-forza di Enrico Berlinguer? Quali le sue convinzioni, i suoi ideali? E quale nesso c’era tra queste idee e il suo modo “pulito” e onesto di intendere la politica?
2. Il nesso tra la “questione morale” (come Berlinguer, ma non solo lui, chiamava il problema di una politica dominata spesso – anche allora – dal malcostume, dal tornaconto personale o di parte, a danno del bene pubblico) e le sue idee politiche più generali venne posto dallo stesso Berlinguer proprio nella lunga intervista sulla “questione morale” rilasciata nella estate del 1981, divenuta celebre e spesso richiamata ancora oggi (la si può leggere nella antologia di scritti berlingueriani Un’altra idea del mondo, Editori Riuniti university press, col titolo Che cos’è la questione morale).
Quello che va compreso, ma che quasi sempre è taciuto, è che la “questione morale” per Berlinguer stava dentro una visione più generale di trasformazione del mondo e della società, di fuoriuscita dal sistema di sfruttamento capitalistico, per andare verso una società più avanzata, verso una società socialista, ovvero – per Berlinguer come per tante e tanti – una società fondata su principi di uguaglianza e libertà.
È questo che faceva e fa di Berlinguer un rivoluzionario, un comunista.
Egli, in quella intervista, affermava ad esempio che la questione morale non si esauriva «nel fatto che, essendoci dei ladri e dei corrotti», bisognasse «denunciarli e […] metterli in galera». Questo era ovvio. Berlinguer andava più in profondità e cercava di risalire alla causa di tale situazione, individuandola nell’«occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti», che faceva tutt’uno «con la [loro] concezione della politica e con i [loro] metodi di governo».
Non solo. Oltre a questo, la questione morale era collegata da Berlinguer al tema delle sue convinzioni più generali di comunista. I comunisti erano «diversi», egli
affermava, perché non «facevano politica», intesa come affarismo, ma lottavano per un mondo diverso, per una società diversa, in base a convinzioni precise. «Noi comunisti pensiamo – Berlinguer affermava in quella stessa intervista – che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparita sociali, di enormi sprechi di ricchezza» (Un’altra idea del mondo, p. 242).
Per Berlinguer era proprio il sistema capitalistico in questo tale a costituire il terreno sul quale lo spreco, la corruzione e il degrado prosperavano.
3. Enrico Berlinguer era dunque convintamente comunista, e non smise mai di esserlo. Non smise mai di riaffermare le sue convinzioni di comunista, fino agli ultimi anni della sua vita.
Dire che egli era comunista tuttavia non basta. Bisogna chiedersi cosa volesse dire per lui essere comunista, cosa intendesse egli per comunismo, o per “società socialista”.
In primo luogo, nella stessa intervista sopra citata Berlinguer affermava: «[Noi comunisti italiani] non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell’economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale […] Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche […] non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di inoccupati, di emarginati, di sfruttati» (Un’altra idea del mondo, p. 242).
La descrizione di quella situazione sembra corrispondere profondamente alla situazione odierna, ma oggi purtroppo ben pochi affermano di voler “superare” il capitalismo, o quanto meno di volerlo modificare profondamente. Il sistema economico-sociale dato viene anzi vissuto come una situazione immutabile, “naturale”.
Non era così per Enrico Berlinguer, per il quale non bastavano, per risolvere i problemi che il capitalismo portava con sé, «il riformismo e l’assistenzialismo: ci vuole – egli diceva – un profondo rinnovamento di indirizzi e di assetto del sistema. Questa è la linea oggettiva di tendenza e questa è la nostra politica, il nostro impegno».
Tale tensione di Berlinguer verso una società socialista che sola egli considerava in grado di dare soluzione ai problemi di fondo del presente sembra oggi più che mai attuale, di fronte alla profondità della crisi che stiamo vivendo, alla spaventosa distruzione della ricchezza sociale che il capitalismo produce, alla disoccupazione e alla disperazione di massa che sono sotto gli occhi di tutti.
Tale tensione verso il socialismo appartiene all’intero percorso politico di Enrico Berlinguer, viene ribadito fino ai suoi ultimi scritti e discorsi.
Le sue diverse proposte politiche che si susseguono nel tempo (il “compromesso storico”, l’“alternativa democratica”, ecc.) sono espressione di situazioni storicamente contingenti, ma mai viene meno in Berlinguer – pur nel variare delle contingenze politiche – la radicale critica al capitalismo e la tensione e la lotta per una società radicalmente diversa.
Poco prima delle elezioni del 1976, nel pieno degli anni del “compromesso storico”, in un incontro proprio con i giovani, a Milano, Berlinguer affermava che il capitalismo aveva generato la «crisi e decadenza della vita economica» e «della vita sociale», da cui nascevano non solo «crescenti disagi materiali per le grandi masse della popolazione lavoratrice», ma anche «il malessere, le ansie, le angosce, le frustrazioni, le spinte alla disperazione, le chiusure individualistiche, le illusorie evasioni: di qui nasce in conclusione – egli affermava – quella che si potrebbe definire […] l’infelicità dell’uomo di oggi».
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Da ciò scaturiva, secondo Berlinguer , «la necessità di uscire dal capitalismo e di andare verso una società superiore», che garantisca «al tempo stesso la soddisfazione […] dei bisogni materiali degli uomini, e, soprattutto assicuri quello che si è perduto, quello di cui più si sente la mancanza: una convivenza veramente umana» (Un’altra idea del mondo, p. 130).
4. Ma quali connotati doveva avere questa società socialista che il comunista Berlinguer voleva sostituire alla società capitalistica?
Pur riconoscendo i meriti storici della Rivoluzione russa del 1917 e del primo paese che aveva tentato la via del socialismo, l’Unione Sovietica, Berlinguer affermava che i comunisti italiani avevano «coscienza dei limiti» di quelle esperienze, poiché esse negavano alcune fondamentali libertà politiche.
Il socialismo a cui voleva arrivare Berlinguer era fondato sulla democrazia. Egli veniva da una tradizione politica che si basava su Antonio Gramsci e sul concetto di egemonia, dunque sulla ricerca del consenso; e che poi con Palmiro Togliatti aveva radicato il Partito comunista italiano nell’orizzonte nazionale e ne aveva fatto uno degli artefici fondamentali della lotta antifascista e per la nascita della nostra Costituzione repubblicana e democratica.
Non soltanto Berlinguer, in polemica coi comunisti sovietici, dichiarò innumerevoli volte che i comunisti italiani intendevano avanzare verso il socialismo «su una via democratica». Egli arrivò a sostenere che la democrazia era un «valore universale» e che dunque una società socialista non poteva essere davvero tale se non era democratica.
Ovviamente la democrazia politica non esiste solo nella forma che noi abbiamo oggi in Occidente. Anche per la democrazia – egli disse (si veda, nella antologia di cui sopra, lo scritto Il Pci e la Cina, del 1980, ma anche tanti discorsi fatti negli anni 1968-1969) – non esiste un unico «modello» che «vada bene per tutti» e che da tutti deve essere necessariamente accettato. Il parlamento può dunque essere ed è uno strumento utile per esercitare la volontà popolare. Ma vi sono anche altri tipi di democrazia. E il parlamento può anche essere affiancato – affermò ripetutamente Berlinguer – da altri strumenti di partecipazione democratica, più diffusi, più articolati, più radicati, più capaci di favorire la partecipazione.
Non erano solo e tanto le forme della rappresentanza a definire per Berlinguer la democrazia, poiché esse possono variare, a seconda delle tradizioni, dei costumi, delle esperienze storiche. Quello che era indispensabile per Berlinguer – e sono parole già del 1971 (le riporto nel mio libro Berlinguer rivoluzionario, Carocci, p. 31) – era «il riconoscimento del valore delle libertà personali e della loro garanzia; i principi della laicità dello Stato, della sua articolazione democratica, della pluralità dei partiti, dell’autonomia del sindacato, delle libertà religiose, della libertà della cultura, dell’arte, delle scienze; l’idea di una soluzione socialista che assicuri nel campo economico un alto sviluppo produttivo, una pianificazione che faccia leva sulla coesistenza di varie forme di iniziativa e di gestione pubblica e privata».
Si trattava dunque di lottare per ampliare la democrazia, per superare i limiti di classe che la democrazia aveva nei paesi capitalistici, ossia «lottare per trasformare i rapporti sociali».
Era questa via di costruzione del socialismo nella democrazia e nella libertà il cuore della proposta politica che fu detta dell’“eurocomunismo” prima e poi della “terza via” (intesa come una «via diversa» sia dal socialismo autoritario sovietico sia dalla socialdemocrazia che aveva rinunciato a cambiare il sistema capitalistico).
Anche perché Berlinguer era convinto che essere coerentemente democratici volesse dire anche essere coerentemente anticapitalistici (lo afferma in una intervista a “Repubblica” del 1978: v. Un’altra idea del mondo, pp. 172 ss.) e che «proprio per salvare la democrazia, per renderla più ampia, più forte, più ordinata possibile bisogna
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superare il capitalismo».
5. In secondo luogo, Berlinguer dava grande importanza alla lotta per la pace e per il progresso dei popoli più arretrati delle diverse parti del mondo. I due temi erano collegati.
Distensione internazionale significava anche meno armamenti, e dunque più risorse per aiutare – a livello planetario, superando gli egoismi nazionali – i popoli più arretrati a vincere la battaglia «della fame, dell’ambiente, della [sovra]popolazione». Un «sistema di cooperazione mondiale» per combattere – egli disse in occasione del XIV Congresso del Pci (v. Berlinguer rivoluzionario, p. 35 – l’«estendersi dei fenomeni di denutrizione, di carestia e di siccità» e il «dilagare delle malattie endemiche».
Se l’urgenza drammatica di questi problemi gli faceva anche auspicare la collaborazione di forze politicamente diverse, a livello mondiale, Berlinguer però non dimenticava mai di ribadire la sua convinzione per cui – per risolvere davvero questi problemi – bisognasse uscire «dalla logica del capitalismo, per muoversi in direzione di uno sviluppo economico, sociale e politico di tipo nuovo, orientato verso il socialismo».
6. Se bisognava far qualcosa per aiutare i popoli drammaticamente in difficoltà, ciò voleva dire per Berlinguer anche rivedere il modello di vita delle società più ricche, delle società occidentali, che non potevano pensare di continuare a consumare senza limiti le risorse del pianeta, che come è noto sono limitate. Qui Berlinguer univa a una precoce sensibilità ecologista la critica alla società del più sfrenato consumismo individuale e a un modello di sviluppo imperniato proprio su questo individualismo consumistico.
La preoccupazione di Berlinguer era innanzitutto che i sacrifici che si ritenevano necessari (come oggi del resto) non ricadessero solo e soprattutto sui lavoratori e sui ceti meno abbienti – come già allora alcuni uomini politici pensavano e come continuano in fondo a pensare oggi. Egli cercava una strada diversa, proponendo un generale cambiamento dei valori, dei fini e delle priorità su cui orientare la società, introducendo quelli che aveva definito «elementi di socialismo». Voleva insomma fare dell’«austerità» (questa parola si era imposta in tutto il mondo dalla crisi petrolifera del 1973) una «occasione per trasformare l’Italia».
Per fare ciò, Berlinguer aveva cercato di andare alle radici della crisi, dovuta in buona parte a quella che riteneva essere la giusta riscossa dei popoli del Terzo mondo produttori di materie prime e a quello che egli considerava comunque un modello basato sullo spreco e governato dall’egoismo eretto a regola sociale.
«abbandonare l’illusione che [fosse] possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario». Si trattava della proposta di
inaugurare un tipo di sviluppo diverso, qualitativo più che quantitativo.
Era un discorso che non perdeva di vista la centralità dei bisogni materiali, ma che intorno alla idea di un loro soddisfacimento egualitario e non fondato sullo spreco
disegnava un tipo di valori del tutto diversi da quelli della società esistente.
La proposta di Berlinguer infatti implicava:
– una contenimento dei consumi superflui;
– la scelta di una “crescita sostenibile” che guardava anche ai grandi processi
mondiali;
– una maggiore importanza da assegnare alla istruzione e alla cultura.
Non si trattava però solo di una lettura che anticipava la cultura ecologista,
poiché Berlinguer – lo ripeto – diceva che per risolvere questi problemi bisognava procedere verso il socialismo.
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Bisognava insomma – per ripetere le parole che usò nel celebre convegno
dell’
Eliseo del 1977 (v. Un’
altra idea del mondo, p. 160)
Berlinguer comunque partiva dalla convinzione che quella in corso fosse «una crisi che soprattutto chiama in causa il perché dello sviluppo […] il senso stesso dello sviluppo, […] il che cosa produrre, il perché produrre. Ma ciò – aggiungeva – vuol dire porsi il problema di quale intervento [si] deve operare […] nella struttura economica del paese per introdurvi le risposte ai nuovi perché, cioè le motivazioni nuove capaci di dare un senso al lavoro e le misure nuove che lo garantiscano a tutti» (
del mondo, p. 199).
A proposito del lavoro e della difesa del lavoro, furono proprio le scelte – fattuali e simboliche – che Berlinguer fece per riavvicinare il suo partito alle esigenze più profonde dei lavoratori, degli operai, a renderlo tanto popolare negli ultimi anni della sua vita. Ricordo ad esempio l’appoggio agli operai della Fiat nella lotta contro i licenziamenti o quello alla lotta contro la riduzione della “scala mobile”, il meccanismo che proteggeva i salari contro l’aumento del costo della vita.
Non furono battaglie vinte, anche per la morte improvvisa di Berlinguer. Con lui vivo, la battaglia per la scala mobile e più in generale la resistenza alle politiche neoliberiste che allora si affermavano sarebbero state più forti.
Da quelle sconfitte venne il grande indebolimento della sinistra, dei lavoratori e dei comunisti, di cui ancora oggi scontiamo le conseguenze. Berlinguer aveva capito la fondamentale importanza della posta in gioco e per questo si spese fino in fondo in quella sua ultima drammatica battaglia.
7. Un altro tema che contraddistinse la ricerca degli ultimi anni di Berlinguer fu il tema del rinnovamento della politica, del modo di fare politica.
A partire dalla osservazione partecipata dei grandi movimenti di quegli anni (il movimento per la pace, contro il riarmo in Europa e contro l’installazione di missili nucleari in Sicilia; e il movimento delle donne, che negli anni 70 aveva imposto all’agenda politica (e anche al Pci) la centralità di temi in precedenza ritenuti quasi “privati” o comunque scomodi, come il divorzio e l’aborto) Berlinguer scrisse un articolo destinato allora a divenire famoso, intitolato Rinnovamento della politica e rinnovamento del Pci (e anche esso compreso nell’antologia ).
La politica, scriveva in questo articolo, non doveva essere considerata solo quella dei partiti e delle istituzioni, ma anche quella dei movimenti, delle istanze che nascono e si affermano nella società, soprattutto per merito delle donne e dei giovani, in risposta a volte a bisogni e ad aspirazioni settoriali, ma che incidono in maniera fondamentale sulla vita delle persone e sulla loro quotidianità, come anche i problemi della sessualità, della salute, del tempo libero: la politica doveva prestare attenzione a questi aspetti perché tutti questi aspetti concorrono alla «qualità della vita», insieme agli aspetti di “welfare” più tradizionali (quali le misure per la casa, lo studio, gli anziani, ecc.).
Ciò che preoccupava Berlinguer era un fenomeno allora relativamente nuovo, almeno in Italia: il «distacco fra notevoli strati della popolazione e i partiti», segnalato dall’aumento dell’astensionismo elettorale. Da qui il segretario del Partito comunista derivava la convinzione che vi era la necessità «di un rinnovamento dei partiti e dei loro modi di far politica» ( , p. 262).
Berlinguer vedeva tra i primi, almeno in Italia, il delinearsi di una politica sempre più “per issues”, per temi particolari, per bisogni specifici. Egli aveva la convinzione che la lotta dei comunisti dovesse guadagnare dimensioni nuove, con «una maggiore attenzione per i problemi non solo della società ma dell’individuo, non solo della quantità, ma della qualità dello sviluppo del lavoro e della vita» (relazione al XVI Congresso, cit. in Berlinguer rivoluzionario, p. 109).
E pur non sottovalutando le potenzialità positive della televisione, egli credeva che non si dovesse trasformare il Pci in un partito di opinione, puramente televisivo o quasi, perché ciò comportava quei processi di “passivizzazione” di massa e delega al
8. Non ho tempo per soffermarmi ulteriormente sulle idee-forza del comunismo di Berlinguer. Bisognerebbe almeno dire del suo ascolto e del suo dialogo col movimento delle donne, col movimento femminista. O le sue idee davvero attualissime sulla democrazia elettronica, sulle potenzialità dell’informatica, allora appena agli inizi. Altre e altri diranno, credo, su questi temi.
Purtroppo l’11 giugno 1984 la ricerca e la lotta di Enrico Berlinguer furono improvvisamente stroncati da un ictus. Alle successive elezioni per il Parlamento europeo del 17 giugno, per la prima e ultima volta il Pci superò la Dc in una elezione di portata nazionale.
Contribuì a questo successo, senza dubbio, la enorme ondata emotiva, la commozione profonda che attraversò il paese per la morte del leader comunista. Ma questo risultato non ci sarebbe stato se la politica dell’ultimo Berlinguer non fosse stata condivisa profondamente da milioni di donne e uomini, se fosse stata una politica sentita come errata, poco convincente o senza prospettive.
Il rilevante successo conseguito dal Pci in quelle elezioni fu anche la dimostrazione che quel partito, sotto la guida di Berlinguer, stava risalendo la china (come avevano detto anche le elezioni politiche dell’anno precedente), si era avviato su una strada solitaria rispetto agli altri partiti ma che godeva di un crescente sostegno da parte dei comunisti, dei lavoratori, dei movimenti sociali, delle persone che vedevano nel suo programma di «riforma intellettuale e morale» (è una espressione gramsciana) la possibilità di un mondo diverso.
Quel cammino fu interrotto dalla morte di Berlinguer.
Di Berlinguer ci rimangono, oltre all’esempio di un modo di fare politica che lascia anche oggi ammirati, i «pensieri lunghi», come egli ebbe a dire, le idee-forza che ha cercato di iniziare a elaborare soprattutto negli ultimi anni della sua vita e della sua lotta. Queste idee-forza non erano sufficientemente compiute, erano un nucleo di pensiero da sviluppare, ma esprimevano comunque la proposta di un punto di vista a partire dal quale organizzare la società, il potere politico e anche la vita quotidiana in modi radicalmente diversi da quelli odierni.