Di Lelio La Porta
Il pensiero e l’opera politica di Berlinguer rispetto alle giovani generazioni nel confronto con le espressioni e la memoria dei giovani di oggi. Una riflessione che prende spunto dalle molte, e non tutte egualmente valide, opere di rievocazione prodotte nel trentennale della scomparsa.
(L’articolo, già pubblicato in precedenza sul sito “la Città futura”, è reperibile al seguente link)

Di recente la terza rete della Televisione di Stato ha trasmesso il film di Walter Veltroni “Quando c’era Berlinguer”. Il lavoro, per molti versi discutibile, in specie per questa insistenza a ridurre il leader comunista ad un brav’uomo, quasi a voler collocare in secondo piano la dimensione politica della sua attività, si apre con una serie di interviste sul campo, soprattutto a giovani, nel corso delle quali se ne sentono di tutti i colori. L’apice è la studentessa che fa presente di aver studiato nel Liceo Azuni di Sassari senza sapere che Berlinguer avesse affrontato lì i suoi studi medio-superiori (en passant, anche Togliatti, seppure diversi anni prima, aveva frequentato lo stesso Liceo). Ancora un altro episodio del quale io stesso sono stato protagonista. Organizzando qualche anno fa la giornata della Liberazione con l’Istituto in cui insegnavo, trovammo come punto di riferimento una sezione del Pd. All’interno faceva bella mostra di sé una foto di Berlinguer per cui chiesi ai giovani presenti chi fosse quell’uomo. Non mi seppero rispondere; ed eravamo all’interno della sede di un Partito che, almeno fino a qualche tempo fa, riteneva che Berlinguer fosse nel suo Pantheon; ora sarà stato sostituito con Baden-Powell, il fondatore dello scoutismo. Partendo da questi presupposti, cercherò di fissare alcuni punti che, pur non pretendendo di esaurire il discorso, possano, però, fungere da elemento di discussione intorno al rapporto fra Berlinguer e i giovani.
Diversi sono i luoghi in cui Berlinguer si rivolge direttamente ai giovani. Ne indicherò alcuni nei quali scorgo un particolare interesse del leader comunista per la pedagogia non soltanto in generale ma per quella specificità della pedagogia che ne fa anche un’educazione alla politica (come fa presente concludendo l’intervento al CC del gennaio 1970, conclusioni nelle quali Gramsci viene indicato, insieme a Lenin, come “altro nostro grande maestro”1).




