Gramsci e l’interpretazione del fascismo

Di Guido Liguori

Se si pensa al tema “Gramsci interprete del fascismo”, il primo pensiero va probabilmente agli articoli gramsciani dei primi anni Venti, giustamente famosi. Quando, a partire dal 1921, il fascismo diventa un fenomeno di rilievo – scatenando in Italia (con i soldi di agrari e industriali e con la protezione e l’aiuto della polizia e dell’esercito) una guerra civile contro i lavoratori e le loro associazioni sindacali e politiche – il giovane dirigente del Partito comunista d’Italia dedica al fascismo analisi in presa diretta che colpiscono per acutezza. Egli non è sul ponte di comando del neonato partito comunista né concorda su come esso sia nato e su come Bordiga lo dirige: Gramsci è a Torino, dove dirige invece uno dei tre giornali del Pcd’I, «L’Odine Nuovo», divenuto quotidiano dal 1° gennaio 1921.In qualità di acuto osservatore della vicenda politica italiana, oltre che come dirigente comunista, Gramsci si applica alla lettura del nuovo fenomeno rappresentato dal fascismo e dallo squadrismo.

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Le tre linee di tendenza dell’antifascismo italiano

Di Lelio La Porta

Tre devono essere considerati i filoni di interpretazione del fascismo: quello intellettuale, quello sociale e quello etico1.

L’ antifascismo intellettuale si basa sulla teoria crociana della parentesi, ossia del fascismo inteso come malattia morale che, in virtù dei processi di crescita della Zivilisation, soppianta e supera la Kultur europea. Possono essere considerati come autori e testi di riferimento Ortega y Gasset (La ribellione delle masse, 1930), Meinecke (L’idea di ragion di stato nella storia moderna, 1924), Huizinga (Le ombre del domani, 1935).

Sulle circostanze che condussero Croce all’antifascismo va fatta qualche considerazione. Intervistato da Francesco Dall’Erba il 27 ottobre del 1923 per il «Giornale d’Italia», quindi a distanza di un anno dalla marcia su Roma, Croce, temendo il pericolo di un «ritorno all’anarchia del ‘22», continuava: «Nessuno che abbia senno augura un cangiamento». E proseguiva sostenendo che tra la sua «fede liberale e l’accettazione e giustificazione del fascismo» non c’era contraddizione alcuna. Il 1° febbraio del 1924, intervistato dal «Corriere Italiano», ancora riteneva «così gran beneficio la cura a cui il fascismo aveva sottoposto l’Italia, che si dava pensiero piuttosto che la convalescente non si levasse presto di letto, a rischio di qualche grave ricaduta». Il 24 giugno del 1924, due settimane dopo il sequestro di Matteotti, il Senato fu chiamato a votare la fiducia al governo Mussolini: Croce, con Gentile, fu tra i 225 che votarono la fiducia. Pochi giorni dopo, per la precisione il 9 luglio, intervistato dal «Giornale d’Italia», il filosofo affermava:

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